Politica internazionale 2009: ogni potere è responsabilità

Ci sono due modi di stilare i bilanci. Il primo è quello tradizionale, di tipo contabile: “tirare le somme” e mettere il segno più o il segno meno al totale. Il secondo è quello che identifica invece le linee di tendenza e cerca di comprendere la direzione di marcia. Nell’analizzare l’anno che ci lasciamo alle spalle, non dobbiamo perciò considerare solo gli eventi, ma anche i processi, cioè il filo interpretativo che si intravede in un caos apparente (e talvolta reale). Il punto più caldo del pianeta rimane l’“arco delle crisi” (ma occorre precisare che le crisi sono oggi da un lato planetarie, dall'altro diffuse in modo caotico ed imprevedibile, e pertanto difficilmente localizabili in una sola area geo-politica), dal Corno d’Africa fino all’Afghanistan, passando per il Medio Oriente allargato, e che è, a ben guardare, l’“arco decisivo” per i destini del mondo. Il 2009 si è aperto con le operazioni militari israeliane a Gaza. Una riprova che le armi non risolvono i problemi. Contrariamente a quanto era stato annunciato alla Conferenza di Annapolis nel novembre 2007, neanche il 2009 (come il 2008) è stato l’anno in cui è stato concluso l’accordo di pace israelo-palestinese. La questione di Gerusalemme (gli insediamenti, la natura di “Capitale”) torna ora al centro del dibattito: non solo simbolicamente, ogni strada verso la pace passa dunque per la Città Santa per le grandi religioni monoteistiche. Che sia proprio questa sfida ardua una possibile chiave per ripartire? Quanto all’Iran, dopo le elezioni presidenziali fortemente contestate e i gravi incidenti che ne sono seguiti, il tema di fondo rimane il programma nucleare (pacifico?). Una questione che rischia di destabilizzare tutta la regione mediorientale. In Afghanistan, le elezioni, pure queste non certo limpidissime, hanno confermato Karzai alla Presidenza. Con un nuovo programma, un nuovo impegno contro la corruzione e un tentativo di dialogare con i talebani non-ideologizzati e disposti a negoziare. Sinora belle promesse, che appaiono molto difficili da mantenere; ma il credito, in politica, si concede facilmente, anche perche' nel caso specifico le alternative sono ridottissime o inesistenti. La Conferenza di Londra sull'Afghanistan (l'ennesima) di fine gennaio 2010 si gioca sulla credibilita', e deve rendere conto anch'essa, prima di tutto, del pesante fardello di promesse (internazionali) non mantenute. La mossa americana di considerare in questo puzzle anche il Pakistan è giusta. Lo saranno anche i 30 mila soldati aggiuntivi (il cosiddetto "surge" militare)? Lo vedremo. In Iraq, l’annuncio del progressivo ritiro delle forze americane e la faticosa ripresa del dialogo politico tra le varie forze lasciano indovinare una luce in fondo al tunnel (purche' almeno ci sia il tunnel, come una volta ebbe a dire Shimon Peres), nonostante gli attentati e le stragi. Il mondo sta cambiando. I Paesi “emergenti” (Cina, India, Brasile, Sudafrica) hanno ormai un ruolo mondiale, sancito dalla nascita del G20 come foro privilegiato di dialogo sulle questioni globali (cambiamento climatico, sviluppo economico, sicurezza alimentare). Tuttavia non è più il tempo di giocare a fare “i potenti della Terra”. Per le crisi vecchie e nuove, oggi più che mai ogni potere è una responsabilità. Verso tutti gli altri.