2011, crisi e rivoluzioni: più immaginazione!

Se si dovesse sintetizzare il 2011 in due parole, queste potrebbero essere crisi e rivoluzione. Serie situazioni sociali, economiche, ambientali e processi di cambiamento radicale hanno colpito diverse aree del pianeta. L’Europa è stata investita da una tempesta finanziaria che ha messo in ginocchio non solo l’Euro, ma le stesse politiche di integrazione europea. Il compromesso raggiunto a Bruxelles agli inizi di dicembre per un’unione fiscale a 26 (la Gran Bretagna ne resta volontariamente fuori) sa più di disperazione che di visione prospettica. In ogni caso, come sempre l’Europa sa trovare vie d’uscita, se non soluzioni, proprio quando affronta momenti drammatici. Nel frattempo, il mondo diventa sempre meno “occidentale” e sempre meno “europeizzato”. Si consolida il ruolo dei “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina ed ora anche Sudafrica) come gruppo di Paesi economicamente emergenti, con potenzialità anche sotto il profilo politico. La grande sfida che abbiamo dinanzi è far sì che questa moltiplicazione di centri del potere mondiale non danneggi le istituzioni multilaterali, come le Nazioni Unite che, bene o male, continuano a rappresentare un nucleo, per quanto imperfetto, di democrazia globale. Anche perché, come ha dimostrato la grande catastrofe del maremoto in Giappone e il grave danneggiamento della centrale nucleare di Fukushima, oggi i rischi (di qualsiasi genere) sono potenzialmente “universali”; lo sostiene da tempo, fondatamente, il sociologo tedesco Ulrick Beck. L’altra grande vicenda del 2011 è il risveglio del mondo arabo-islamico, con una serie di “rivoluzioni” che hanno assunto fattezze diverse a seconda dei Paesi e dei regimi politici. Nei sistemi a carattere più militaristico e di controllo di polizia (Libia, Siria), le vicende sono state - e sono tuttora – drammatiche; nel caso della Libia, ancora una volta la scorciatoia è stata una guerra. E qualche irresponsabile parla persino di attacco all’Iran. Speriamo che in futuro la politica internazionale ci porti più immaginazione e meno bombe.

L’Europa, il Mediterraneo e il dialogo post-secolare

Gli eventi in corso nella regione mediterranea e mediorientale stanno portando già - e porteranno verosimilmente ancor più in futuro - ad una maggiore apertura democratica in buona parte dei paesi dell’area, non solo in quelli direttamente toccati dai sommovimenti popolari.
In particolare, si assiste all’espansione della sfera di partecipazione politica, con l’ingresso sulla scena politico-elettorale di nuovi attori. In alcuni di tali Paesi hanno fatto la loro comparsa o si sono consolidati movimenti politici di ispirazione religiosa, in taluni casi banditi, sinora, dalla vita politica nazionale. In ogni caso, occorre essere consapevoli che senza una piena integrazione dell’Islam politico nello scenario la stessa sostenibilità delle trasformazioni in corso può risultarne indebolita.
In molti Paesi europei (ad esempio in Italia, Germania, Belgio, Spagna, e per alcuni versi anche in Francia) sono state sperimentate, negli anni, formule di impegno politico di cittadini portatori di visioni del mondo improntate a motivazioni religiose. L’esperienza storica dei movimenti politici europei di ispirazione religiosa è stata caratterizzata da una modalità di presenza nel sistema politico che ha tenuto conto dei principi di laicità e si è articolata nel contesto di istituzioni democratiche e rappresentative, con il pieno recepimento dei principi costituzionali e il rispetto del pluralismo politico e culturale.
In tale ambito, potrebbe rivelarsi utile instaurare un dialogo, nel Mediterraneo, in questa fase di cambiamenti strutturali nella regione, tra organismi e singoli studiosi che possano condividere con interlocutori del mondo arabo analisi e proposte basare sul patrimonio di esperienze e di idee sopra richiamato, evidenziandone le opportunità ma non sottacendone anche le possibili criticità.
In questo scenario dovrebbe essere inclusa anche la Turchia, ove è già in corso un esperimento di declinazione politica di principi derivanti dalla religione islamica, pur nel contesto della condizionalità democratica necessaria per ottemperare ai parametri richiesti per l’ingresso nell’Unione Europea.
Inoltre che questo tema deve essere approfondito anche in una dimensione interconfessionale ed interreligiosa.
Alcuni punti vanno fissati anche nella prospettiva di una riflessione su tale ipotesi di nuovo partenariato tra attori politici:
• la prospettiva deve guardare al futuro, non al passato;
• non ha relazione alcuna con le "formule politiche" (tipo unità politica dei cristiani o degli “islamici”);
• non deve porsi dal punto di vista delle religioni, ma da quello dei sistemi politici e degli attori in essi rilevanti;
• non riguarda l'Italia o altri singoli Paesi, ma il rapporto tra il mondo euro-atlantico e quello mediterraneo;
• concerne la dimensione che è stata battezzata “post-secolare”; essa chiama in causa, tra le altre cose, il ruolo pubblico delle religioni dal punto di vista delle motivazioni dell’impegno politico;
• richiede un approfondimento sulla laicità dello stato e delle istituzioni alla luce sia dell’esperienza europea che dei nuovi movimenti apparsi sulla scena nel mondo arabo-islamico (da questo punto di vista, la modellistica deve essere il più possibile ampia, e deve essere collocata su un continuum delle possibili declinazioni tra Islam e politica che parte, dal lato del radicalismo, dalla pseudo-teocrazia iraniana e giunge, dal lato del pluralismo, all’assetto indonesiano, passando per il “canone” pakistano e l’accomodamento pragmatico turco);
• comporta una seria e fondata analisi comparata tra i diversi movimenti al fine di identificare i possibili segmenti di intersezione ideale e operativa
Un argomento a parte riguarda l’eventuale grado di condizionalità nell’approccio dialogante nei riguardi dei movimenti ad ispirazione islamica che decidono di entrare nell’agone politico. Sicuramente sono importanti i parametri della:
• rinuncia ad ogni forma di violenza;
• accettazione di valori democratici in senso lato (in particolare il pluralismo);
• uguaglianza (non discriminazione, questioni di genere).
A questi principi politici se ne possono aggiungere anche altri, legati in particolare alla questione dell’adozione di un quadro giuridico ed etico fondato sulla libertà individuale e non esclusivamente sulla soggettività delle comunità.