Cambiare rotta

Cambiare rotta. Questo il messaggio che le elezioni francesi e greche (quest'ultime da ripetere) hanno lanciato, forte e chiaro, all'Europa tutta. Anzi, per essere precisi, il messaggio è diretto  ad alcuni Goveni europei, ed anzitutto a quello tedesco, più che alle Istituzioni di Bruxelles. Cerchiamo, per una volta, di non fare di ogni erba un fascio: la Commissione Europea ed il Parlamento Europeo da tempo immemorabile, infatti, spingono per un governo politico dell'economia europea; e chiedono misure per la crescita, non solo per la disciplina di bilancio, pur necessaria. E non ha senso, oltre ad essere scorretto, accusare la Banca Centrale Europea di non fare abbastanza, senza poi darle i poteri per farlo. Ora l'elezione del socialista Hollande in Francia potrebbe cambiare l'agenda europea. Unitamente all'indebolimento di Angela Merkel a seguito dell'insuccesso della CDU nelle elezioni del Nord Reno - Westphalia, la vittoria di Hollande potrebbe dar luogo ad un nuovo patto franco-tedesco-italiano per mitigare gli effetti della crisi del debito. Quello che è accaduto in Grecia, con la frammentazione del quadro politico e l'impossibilità di formare un Governo, è frutto di un diverso sistema politico, che non è presidenziale come quello francese, ma parlamentare, e soprattutto non ha un secondo turno elettorale. Tuttavia, a parte questo elemento  non secondario, l'avanzata delle formazioni politiche estreme (con il grande consenso del "Front National" di Marine Le Pen) fa registrare notevoli analogie tra i due Paesi. E dunque i popoli europei sembrano dire a gran voce che così proprio non va, che occorre voltare pagina. Quale risposta può venire dalla politica? Meglio non menzionare nemmeno l'ipotesi di un'uscita della Grecia dall'eurozona: sarebbe l'inizio della fine. Questa non è più né  l'epoca delle rinunce né quella delle mezze misure. Solo la fiducia, anche in campo politico ed istituzionale, può farci uscire dalla spirale discendente nella quale siamo caduti dal 2008. Come si può aumentare il tasso di fiducia dei cittadini e dei mercati?  Non con le vuote dichiarazioni dei vertici. O i governanti europei mettono in atto un grande progetto che punti ad una maggiore integrazione e ad una tangibile solidarietà, in tutti i campi, da quello economico a quello politico, oppure non vi sarà nulla che possa rassicurare i popoli e le borse, e soprattutto fermare da una parte la caduta dei consensi verso l'Europa e dall'altra la speculazione ai danni dell'Euro. E soprattutto non vi sarà nessuna crescita possibile.

L'Unione incompiuta

Cos'è oggi l'Unione Europea? Partiamo dalle conquiste, prima di elencare le innegabili criticità. È in primo luogo un’unione doganale. La vicenda europea prende corpo, negli anni '50, proprio con l'eliminazione delle barriere commerciali. Una cosa non secondaria, visto che quegli invisibili muri infra-europei avevano alimentato conflitti per secoli. Ma oggi l'UE è soprattutto un mercato unico, nel quale sono stati rimossi gran parte degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, dei lavoratori, dei capitali e dei servizi. Per i Paesi che partecipano all'accordo Schengen, è anche un'area di libera circolazione delle persone in quanto tali. Ed è un'Unione Monetaria, benché essa non coinvolga tutti i Paesi, ma solo i membri dell'Eurogruppo. Oggi l'UE è un attore commerciale globale, capace di influenzare le politiche dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, è un vasto sistema di regolazione; nonostante gli eccessi, veri o assai spesso inventati, questa attività della Commissione Europea per trovare standard comuni in vari campi economici e sociali, è un potente fattore di integrazione, e produce vantaggi evidenti per tutti i cittadini europei. Oggi l'Europa è un’area geo-politica di affermazione dei diritti, con un ruolo riconosciuto a livello globale.
Quali sono, invece, i limiti dell'Unione Europea? Si tratta di un sistema politico incompiuto, in cui, ad esempio, il Parlamento europeo non esprime una vera maggioranza politica a sostegno della Commissione (che è solo un "accenno" di Governo europeo). È un sistema istituzionale complicato e poco comprensibile, in cui la divisione dei poteri e delle responsabilità non è affatto chiara. Come conseguenza, il processo decisionale è farraginoso e inefficace, tra Consiglio dei Ministri, Consiglio Europeo, Commissione, Parlamento, figure istituzionali non chiaramente definite (ad esempio, Presidente della Commissione, Presidente del Consiglio Europeo, Presidente di turno semestrale). La verità è che l'UE rimane un insieme di democrazie nazionali, spesso in competizione, con una debole dimensione europea. In questo contesto, la cittadinanza comune europea rimane limitata e marginale, nonostante la retorica che l'accompagna. Ad esempio, le elezioni europee sono in realtà un mosaico di elezioni nazionali, per non parlare dei referendum. Di partiti veramente europei non c'è traccia; le "famiglie politiche" del Parlamento europeo sono sempre più articolate e dissimili al loro interno, perché prevalgono le logiche nazionali. Infine, l'UE come tale è un’entità poco incisiva sulla scena internazionale, e la politica estera rimane anch'essa sostanzialemente nazionale, e quindi asfittica in un mondo in rapido cambiamento.
In sintesi, l'Unione Europea deve ancora trovare la strada per diventare un’autentica democrazia europea transnazionale, basata sul principio di sussidiarietà; un’area politico-economica coesa e solidale; una società integrata e pluralista; un attore globale responsabile e attivo, sulla base di una politica estera comune.

Dalle radici al fiume





Ha un titolo volutamente polemico, il bel libro di Maurizio Bettini, "Contro le radici", pubblicato di recente dal Mulino. Nonostante il titolo, si tratta di una confutazione al contempo raffinata e concreta del "mito" delle radici culturali o delle civiltà. La mitizzazione dell’identità e della tradizione costituisce una reazione, non solo in Occidente, ai grandi sconvolgimenti provocati dalla modernità. Come scrive Francesco Lubian, " alla globalizzazione e ai fenomeni migratori, insomma, si tende a reagire rafforzando (al limite: inventando) una cultura fortemente identitaria, che trova un perfetto paradigma metaforico nella “radice”, immagine di cui Bettini ricostruisce da par suo la genealogia: grazie a questa metafora la tradizione si trasforma in qualcosa di biologicamente primordiale, che sorregge e nutre, godendo di un rapporto privilegiato con la terra. Lo studio della metafora delle radici smaschera il dispositivo di autorità che alimenta di nuclei semantici forti (vita, natura, terreno) in grado di rendere, oggi, il discorso sulla tradizione particolarmente forte e pervasivo a ogni livello culturale, come dimostrano gli stralci dei discorsi di Marcello Pera e i comunicati della Lega Nord citati a più riprese dall’autore. Dietro questa forza, però, albergano grandi pericoli, come la storia, dalla guerra fra Troiani e Latini a quella fra Hutu e Tutsi, non smette di ricordarci." . In un articolo pubblicato da La Repubblica il 24 gennaio 2012 "Contro il mito delle radici", Bettini sintetizza efficacemente la sua critica alla metafora "radicale". "Nel nostro dibattito culturale sempre più frequentemente ricorre l' associazione fra tradizione e identità, quasi che l' identità collettiva - l' identità di un certo gruppo - dovesse essere concepita come qualcosa che deriva direttamente e unicamente dalla tradizione. Una delle affermazioni oggi più circolanti è proprio la seguente: «l' identità si fonda sulla tradizione». Basta rammentare gli anatemi che negli scorsi anni sono stati lanciati contro l' immigrazione, in particolare islamica, e i mutamenti culturali che da essa sarebbero provocati. Ora, il rapporto di causa / effetto che viene stabilito fra tradizione e identità - l' identità è prodotta dalla tradizione - emerge direttamente dalle stesse metafore che vengono usate per parlarne. Quando si vuole indicare la tradizione culturale di un gruppo o di un paese, infatti, l' immagine più ricorrente è quella delle radici. Queste sono le nostre radici, si dice, questo dunque siamo "noi". Basta ricordare l' acceso dibattito relativo alla proposta di inserire nel preambolo della costituzione europea una menzione delle radici cristiane dell' Europa. L' immagine arboricola intendeva sottolineare il rapporto di stretta interdipendenza che, a parere dei sostenitori di questa tesi, legherebbe fra loro la cultura europea da un lato, il cristianesimo dall' altro. (...) In questa selva di radici identitarie c' è un aspetto generale della questione che merita di essere messo in evidenza: le immagini non sono oggetti neutri, anzi, molto spesso hanno la capacità di condizionare fortemente la nostra percezione della realtà. Ciò che definiamo "metafora" non è solo un ornamento del discorso, è anche un potente strumento conoscitivo. Così accade anche nel caso delle radici. Questa immagine ha infatti la capacità di suggestionare fortemente qualsiasi discorso su identità e tradizione, e per un motivo abbastanza semplice: in un campo così astratto come quello delle determinazioni filosofiche o antropologiche, l' immagine delle radici permette di sostituire il ragionamento direttamente con una visione. (...) In una discussione sulla tradizione, anche il più accanito dei tradizionalisti avrebbe difficoltà a dirci da che cosa sia concretamente costituita la tradizione di cui parla. Lo stesso discorso vale per quella cosa che chiamiamo identità. Ecco il motivo per cui è molto meglio spostare tutto sul piano della metafora, e far balenare di fronte agli occhi dell' ascoltatore semplicemente delle radici. Ma che cos' hanno poi, di così efficace, queste radici? (....) Le radici stanno immerse nella terra, il luogo da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna; le radici sostengono la pianta, che altrimenti cadrebbe al suolo; e soprattutto le radici trasmettono al tronco, ai rami e alle foglie il nutrimento di cui hanno bisogno. Tramite l' immagine delle radici, e dunque dell' albero, anche la tradizione si muta in qualcosa di biologicamente primordiale, che sta immerso nella terra, qualcosa che sorregge e nutre - chi? Ovviamente noi, la nostra identità. Il rapporto di determinazione fra tradizione e identità assume in questo modo l' aspetto di una forza che scaturisce direttamente dalla natura organica. Se un albero è quel certo albero perché è cresciuto da quelle radici, noi siamo noi perché siamo cresciuti dalle radici della nostra tradizione culturale. In un certo senso, è come se noi non potessimo essere altrimenti: se si dà retta a questa metafora, la nostra identità finisce ineluttabilmente per essere determinata dalle nostre radici, cioè dalla tradizione cui si appartiene. Inutile dire che il ricorso alla metafora arboricola punta a questo scopo: costruire un vero e proprio dispositivo di autorità, che, attraverso i contenuti evocati dall' immagine, si alimenta di nuclei semantici forti quali la vita, la natura e la necessità biologica. Una volta che questo dispositivo di autorità sia stato messo in movimento, la conseguenza non può che essere la seguente: l' identità culturale predicata attraverso la metafora delle radici viene estesa a un intero gruppo, indipendentemente dalla volontà dei singoli. Un ramo può forse decidere di non appartenere all' albero con cui condivide le radici o, addirittura, di non essere un ramo? Una volta "radicati" in una certa tradizione, scegliere autonomamente la propria identità culturale diventa impossibile, ci si può solo riconoscere in quella che altri hanno costruito per noi." "É per questo che Bettini - commenta Lubian- suggerisce di abbandonare, per quanto riguarda l’identità, la metafora delle radici per scegliere invece quella del fiume, immagine che valorizza la portata di tutti i diversi apporti secondo un paradigma di orizzontalità e non più di verticalità: anche l’identità, del resto, risulta in ultima analisi il frutto di un incessante processo di continua reinvenzione." Il fiume fluisce, a volte scorre placido, a volte è irruento; in alcuni tratti assomiglia a un lago, in altri dà origine a cascate fragorose; a volte è compatto, a volte si divide e si "complica" in molti rami; riceve i contributi di altri corsi d'acqua, oppure procede solenne e solitario verso la foce. Insomma, il fiume è una realtà cangiante e dinamica. La metafora del fiume è assai più democratica di quella delle radici.