In tutti i processi politici complessi, e specialmente nelle transizioni, vi sono “attori” che non perseguono altro obiettivo che quello del ”deragliamento”. In altre parole, vi sono forze politiche, sociali ed economiche che scommettono sul fallimento piuttosto che sugli esiti positivi. Nella “primavera araba” i profeti di sventura non sono mancati in Occidente; ma non sono mancati – e non mancano tuttora – i “sabotatori” locali. L’attentato all’Ambasciatore Stevens a Bengasi – e occorre ricordare che il suo “curriculum” ce lo mostra soprattutto come un uomo del dialogo – va analizzato alla luce di questo tentativo di far saltare il consolidamento democratico. Ma bisogna essere vigilanti e non cadere nella trappola nella quale gli “spoilers”, quelli che remano contro, ci vogliono attirare. Una prima lezione di questa prudenza ci viene proprio da Obama, che ha giustamente sottolineato, nella prima dichiarazione che ha fatto seguito all’attentato di Bengasi, come le religioni in quanto tali vadano tenute fuori da questo cinico gioco al massacro. E soprattutto ci mettono in guardia dal confondere il sentimento religioso di interi popoli con l’agenda politica di pochi. Ciò vale anzitutto per l’Islam, che è spesso ostaggio di “islamisti” i cui obiettivi hanno a che fare più con la conquista e conservazione del potere che con la diffusione del credo del Profeta. Ma vale anche per l’Occidente “cristiano”, quando gli “atei devoti” utilizzano tragedie e lutti che colpiscono l’umanità intera come la conferma che nessun dialogo è possibile, che esistono culture e religioni “superiori” e che l’unica politica internazionale plausibile, in questi casi, è l’isolamento o l’esportazione armata della democrazia. Era questo probabilmente l’obiettivo anche degli autori del film che ha scatenato l’indignazione e la protesta nel mondo islamico: una provocazione, per generare una reazione a catena che porti a concludere che nessuna “primavera” è possibile nel mondo arabo. La strategia europea verso queste aree dovrebbe essere improntata a.. maggior realismo: al contrario di quanto si crede, infatti, non è affatto “realistico” concepire tali società come completamente plagiate dalla logica dell’islamismo militante aggressivo. Era inevitabile e scontato che gli eventi nella regione mediterranea e mediorientale avrebbero portato all’espansione della sfera di partecipazione politica, con l’ingresso sulla scena politico-elettorale di nuovi attori; ed era perfettamente prevedibile la comparsa o il consolidamento di movimenti politici di ispirazione religiosa, in taluni casi precedentemente banditi dalla vita politica nazionale. Lungi dal demonizzare tale processo, si sarebbe dovuto prendere atto che senza una piena integrazione dell’Islam politico nello scenario la stessa sostenibilità delle trasformazioni in corso avrebbe potuto essere messa a repentaglio.In Paesi come la Tunisia e l’Egitto, il dialogo politico di cui avremmo bisogno riguarda una vecchia idea europea. In molti Paesi del Vecchio Continente - ad esempio in Italia, Germania, Belgio, Spagna, e per alcuni versi anche in Francia- sono state sperimentate, negli anni, formule di impegno politico di cittadini portatori di visioni del mondo improntate a motivazioni religiose. L’esperienza storica dei movimenti politici europei di ispirazione religiosa è stata caratterizzata da una modalità di presenza nel sistema politico che ha tenuto conto dei principi di laicità e si è articolata nel contesto di istituzioni democratiche e rappresentative, con il pieno recepimento dei principi costituzionali e il rispetto del pluralismo politico e culturale. Se è stata possibile una “democrazia cristiana” (come ragione dell’impegno politico dei credenti) perché permettere a pochi islamisti violenti e reazionari di convincerci che non sarà mai possibile una “democrazia islamica”? Attenzione: è questo che vogliono farci credere gli epigoni islamici dello scontro di civiltà.
Il Cardinale Martini e la pace a Gerusalemme
Ho conosciuto il Cardinal Martini nel 2006, a Gerusalemme. Ero in missione, nelle mie funzioni diplomatiche, con l'allora Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. In un incontro con diverse personalità della Chiesa cattolica in Medio Oriente, si affontarono in particolare i nodi della politica medio-orientale, ed in primo luogo la questione israelo-palestinese. Il Cardinale Martini ascoltò con grande attenzione le parole di D'Alema, che sosteneva (a ragione) che era sua convinzione che quando si sarebbe fatta la pace a Gerusalemme ci sarebbe stata pace nel mondo intero. Il Cardinale Martini annuì e con grande umiltá si disse d'accordo. Furono altri religiosi presenti all'incontro a ricordare che quella era da tempo una "profezia" formulata proprio dal Cardinale Martini nei suoi profondissimi scritti sulla Città Santa. Una bella coincidenza di visioni tra un laico ed un autentico testimone del Vangelo. Ricordo di Martini, già allora stanco ed affaticato, il sorriso sereno ed accogliente. Egli stesso ci raccontò di aver dato vita ad un gruppo di famiglie israeliane e palestinesi che avevano perso dei familiari nell'annoso conflitto che affligge la regione. Un segnale di pace semplice e concreto. Mi fece l'impressione di un fiotto di luce che si fa strada nel buio di un odio radicale ed apparentemente inestirpabile. La pace in Medio Oriente ha un nuovo "Mediatore" a cui rivolgersi per chiedere luce e speranza.
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