Veli e diritti


Sulla questione del divieto di “burqa” in Francia, e’ anzitutto necessario fare un po’di chiarezza lessicale.
Esistono infatti varie forme di “velature” delle donne islamiche.
In linea generale, lo hijab (termine che deriva dalla radice h-j-b, «nascondere allo sguardo, celare») indica «qualsiasi velo posto davanti a un essere o a un oggetto per sottrarlo alla vista o isolarlo». Acquista quindi parimenti il senso di «tenda», «cortina», «schermo». Il campo semantico corrispondente a questa parola è dunque più ampio dell'equivalente italiano «velo», che serve per proteggere o per nascondere, ma che non separa. Esistono pertanto molteplici varianti di "velo"; qui ne vorrei ricordare almeno tre.
1) Il chador o chadar, dal persiano ciâdar (velo, mantello), è un indumento tradizionale iraniano simile ad una mantella e ad un foulard indossato dalle donne quando devono comparire in pubblico. Si tratta di una stoffa semi circolare che ricopre il capo e le spalle, ma che lascia scoperto il viso, tenuto chiuso sotto il mento ad incorniciare il volto; è uno dei possibili modi per seguire la legge islamica dell'hijab. Viene indossato anche in altre nazioni oltre all'Iran, specialmente nel Medio Oriente, e da chi segue la dottrina islamica secondo la pratica della purdah indipendentemente dalla nazionalità.
2) Il niqab è un altro tipo di velo della tradizione islamica, che copre la figura della donna lasciando scoperti solo gli occhi. Di solito si compone in due parti, divise fra loro: la prima è formata da un fazzoletto di stoffa leggero e traspirante, che viene collocato al di sotto degli occhi a coprire naso e bocca, e legato al di sopra delle orecchie, mentre la seconda parte è formata da un pezzo di stoffa molto più ampio del primo, che nasconde i capelli e buona parte del busto, da legare dietro la nuca, e poi lasciato cadere morbido lungo le orecchie.
3) Con la parola burqa, infine, si indica un capo d'abbigliamento tradizionale delle donne di alcuni paesi di religione islamica, principalmente l'Afghanistan. Il termine burqa individua due tipi di vestiti diversi: il primo è una sorta di velo fissato sulla testa, che copre l'intera testa permettendo di vedere solamente attraverso una finestrella all'altezza degli occhi e che lascia gli occhi stessi scoperti. L'altra forma, chiamata anche burqa completo o burqa afghano, è un abito, solitamente di colore blu, che copre sia la testa sia il corpo. All'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di vedere senza scoprire gli occhi della donna.
Cio’premesso, ho trovato molto centrate le argomentazioni contenute in un articolo apparso sul Financial Times del 27 gennaio 2010, che riporto qui di seguito.
Republican bigotry. By bluntly insisting that France’s republican values are under threat from a thousand or so women who wear full-face veils, a parliamentary commission that submitted a report opposing the practice on Tuesday merely succeeded in cheapening those values. Proclaiming that “all of France says no to the full veil”, the report echoes President Nicolas Sarkozy’s statement that the veil “is not welcome in France”. In a curious procedural dance it proposes as a first step a non-binding parliamentary resolution condemning veil-wearing. Yet a legal ban is the ultimate goal, after “pedagogically” engaging with Muslim leaders and consulting on its constitutionality. Whether or not a law results, this assault on the liberties of veiled women is abominable. Steering just shy of banning full-face veils in all public spaces (in other words, the street), the committee wants veiled women to be denied access to public facilities such as hospitals and public transport. The contemplation of such measures follows the course set by the Swiss, who outlawed the construction of minarets in a referendum last year. But France’s crackdown on Muslim symbols is more disturbing: it is promoted by mainstream leaders, not rabble-rousers such as the Swiss People’s party. Whatever problem these leaders say they are solving, it is not the concerns of the women it will affect. Barred from seeing a doctor or taking the bus without shedding the veil, they will be further marginalised from mainstream society – the opposite of the assimilation that proponents of a ban demand. Some women cover their face out of religious conviction, which, given France’s secular tradition, is none of the state’s business. Legitimate exceptions include public officials’ use of religious symbols and making people show their faces to prove their identity or eligibility for services (which French Muslim leaders sensibly endorse). A few, it is true, are forced by family members to cover up. Sects that reject individual freedom and gender equality pose a small but real problem. But the challenge is to find ways to make women in these communities freer, not make other women less so. This point applies broadly: Muslim Frenchmen largely do not reject French society; they want to be admitted into it. Politicians who want assimilation would do better to soften up France’s sclerotic labour market than to engage in cheap populism. Making laws to stop people from wearing what they want is a distraction – and as offensive in Paris as it is in Riyadh or Tehran.

Più in generale, sull’argomento dell’identità e della differenza propongo alla riflessione le seguenti considerazioni tratte da un bel lavoro sulla globalizzazione:
Non tutti gli uomini seguono il mito di Ulisse o il mito di Marco Polo. Questa maniera di intendere sé stessi e gli altri appartiene solo ad una parte dell’umanità; un’altra parte segue il principio opposto: gli altri non sono interessanti, è inutile conoscerli; anzi, costituiscono una minaccia per noi, per al nostra cultura, per il nostro modo di vivere. Secondo Erodono, questo modo di intendere i rapporti con gli altri era tipico dei persiani. Ecco come possiamo sintetizzare le due differenti modalità di intendere il rapporto con gli altri: a) modello di Ulisse. Gli individui possono muoversi, viaggiare, hanno spirito di avventura. La conoscenza degli altri rappresenta un modo per essere più saggi, per conoscere meglio sé stessi; b) il modello persiano. Gli individui temono gli stranieri, e dunque sono aggressivi con loro quando li incontrano e non sono propensi a muoversi, se non per spirito di conquista. Più in generale dal punto di vista sociologico si può dire che vi sono due forme di comunità. La prima è una comunità aperta verso l’esterno, verso gli altri, gli sconosciuti, i diversi da noi, nella convinzione che l’umanità sia una. Perciò nulla si ha da temere nel rapporto con gli altri, anche se per avventura sono diversi poco o tanto da noi. La seconda, invece, è una comunità chiusa: gli altri sono una minaccia per noi, il loto modo di vivere è barbaro ed incivile. Noi dobbiamo difendere la nostra società e perciò dobbiamo impedire che altri vengano da noi. Se proprio dobbiamo avere a che fare con loro, dobbiamo sottometterli, convertirli alla nostra religione, ai nostri usi e costumi. (Vittorio Cotesta, Sociologia del mondo globale, Laterza, Roma-Bari 2004, pp.18-19).