Le promesse non mantenute del disarmo nucleare

Il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare (TNP), per quanto imperfetto e largamente insufficiente, resta l’unico uno strumento attualmente capace di limitare una corsa alle armi nucleari su scala mondiale. In primo luogo, esso “congela” una situazione, e conferisce la legittimità per il possesso di armi nucleari solo ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (USA, Russia, Cina Francia e Gran Bretagna). Al di là di questi stati, comunque, ve ne sono altri che si sono dotati di armi nucleari pur non facendo parte del Trattato, quali India, Pakistan, Israele. Tali Paesi hanno sviluppato programmi nucleari “di fatto” (nel caso di Israele, si tratta di un programma “non dichiarato”). Ciò rappresenta una delle debolezze strutturali del regime di non proliferazione. Un terzo caso è rappresentato da quei paesi che sono firmatari del Trattato, ma che sono tuttavia sospettati di portare avanti programmi nucleari a scopi militari, come l’Iran, mentre la Corea del Nord ha denunciato il trattato e ne e’ uscita nel 2003, essendo divenuta un paese dichiaratamente (ed illegalmente) nucleare. Infine, altri paesi, benché avessero avviato la ricerca, hanno successivamente rinunciato a sviluppare armi nucleari, come Brasile, Libia e Sud Africa. Il TNP si pone tre obiettivi principali. In primo luogo, esso mira al contenimento del numero di stati in possesso di armi nucleari. In secondo luogo, si propone la riduzione degli arsenali esistenti; ovvero il “disarmo” propriamente detto. In terzo luogo, promuove l’uso pacifico dell’energia nucleare. I primi due aspetti vengono comunemente e rispettivamente definiti come “non-proliferazione orizzontale” e “non-proliferazione verticale”. C’è da segnalare che il secondo obiettivo, quello del disarmo, è particolarmente importante per diversi motivi, oltre ad essere sicuramente il più delicato. Questo perché la politica del disarmo influisce direttamente sia sulla “legittimità” che sulla “credibilità” del sistema di non proliferazione. Da una parte, infatti la legittimità del sistema rischia di venir meno qualora le potenze nucleari ufficiali decidessero di “cristallizzare” una situazione di fatto, costituendo così una sorta di “club nucleare esclusivo”; dall’altra, proprio questo “congelamento” finirebbe per danneggiare anche la credibilità del sistema, in quanto gli stati “have-not” avvertirebbero un indiretto incentivo a costruirsi anch’essi un proprio arsenale nucleare. Si può quindi affermare che la non proliferazione nucleare non è credibile e non è legittima se non è strettamente connessa al disarmo. È interessante notare che, mentre la non proliferazione è regolata da un trattato internazionale universale, non esiste un analogo quadro giuridico internazionale capace di disciplinare in dettaglio le modalità di riduzione degli arsenali nucleari, e quindi di rendere effettivo il disarmo. Ciò si registra sia a livello multilaterale che bilaterale. A livello multilaterale, infatti, le misure al riguardo non sono andate oltre l’enunciazione di impegni vaghi; mentre a livello bilaterale (come ad esempio fra Russia e Stati Uniti), pur assumendo contorni decisamente più precisi, gli impegni assunti in sede politica non hanno fatto registrare progressi molto rilevanti. La quantità di armi nucleari, sebbene sia minore rispetto al picco dell’ultima fase della guerra fredda, resta tuttavia nell’ordine delle decine di migliaia, rendendo così la prospettiva del disarmo molto difficile. In sintesi, si può dire che l’impegno per il disarmo (proliferazione verticale) è rimasto nettamente modesto, rispetto alla limitazione della proliferazione orizzontale. Indubbiamente la questione del mancato disarmo è una di quelle che più hanno nuociuto all’autorità e alla legittimità del regime di non proliferazione nucleare. L’Art. 6 del TNP impegna le potenze atomiche “ufficiali” (USA, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina) ad adoperarsi per ridurre la corsa agli armamenti, in vista di un completo e verificabile disarmo nucleare. Come detto, quest’impegno è stato largamente disatteso. Non può essere infatti considerato un reale progresso in termini di disarmo la pur drastica riduzione di armi atomiche rispetto alla fase finale del confronto USA-URSS.Gli accordi russo-americani per la riduzione delle testate, infatti, non fanno parte di una vera strategia concordata di disarmo e sono dettati piuttosto obiettivi di distensione politica e di contenimento dei costi per le spese militari negli Stati Uniti e in Russia. Inoltre, elementi essenziali della non proliferazione sono il controllo e le verifiche da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, previste dal trattato, che tuttavia stentano ad essere applicate proprio nei casi “dubbi” (la Corea del Nord prima dell’ammissione del possesso di armi atomiche, l’Iran attuale). A che punto siamo?
1) Un elemento politico importante è stato il discorso pronunciato a Praga nell’aprile del 2009 dal Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama. Egli ha reiterato l’obiettivo di un “mondo libero da armi nucleari”; rilanciando quella che è stata chiamata “l’opzione zero”; ovvero l’eliminazione delle armi nucleari dalla faccia della terra.
a) Spesso l’arma nucleare viene giudicata “buona” o “cattiva” a seconda di chi la possiede; c’è da riflettere, invece, se l’arma nucleare non sia sempre un fatto negativo, perché il messaggio di distruzione indiscriminata della popolazione civile, che essa implicitamente lancia e contiene in sé stessa, è inaccettabile. Durante la guerra fredda si parlava di potenziali “megamorti” (1 milione di morti = 1megamorto). Ammesso e non concesso che esistano armi “umane”, è chiaro che l’arma nucleare è strutturalmente “disumana”.
b) Un’obiezione che si fa rispetto all’ipotesi di opzione zero è che le armi nucleari esistono e sono state inventate, rendendo inconcepibile la possibilità di “disinventarle”. A questo argomento specioso si potrebbe replicare con il caso delle mine antiuomo, che sono state “politicamente” e “giuridicamente” disinventate attraverso una convenzione internazionale che le ha poste fuorilegge sul piano universale. La stessa linea argomentativa si applica, pur con modalità diverse, alle armi chimiche e batteriologiche.
c) Un altro punto è il costo-opportunità dell’arma nucleare, che induce ingenti investimenti finanziari, tecnologici, di ricerca e, nel caso di test nucleari, anche di “territorio”. Un modo di calcolare il vero costo di un’arma nucleare è considerare tutti gli impieghi alternativi e produttivi delle risorse che si utilizzano. Conseguentemente, uno dei problemi di “gestione” del disarmo, considerato come un processo e non come una misura “istantanea”, è la successione di almeno tre fasi: 1)cessazione della fabbricazione di nuove armi; 2)eliminazione di quelle esistenti (riduzione); 3)eventuale riconversione degli impianti utilizzati e delle risorse impiegate.
2) Tra poche settimane (tra il 4 e il 15 maggior 2010) si terrà a New York un’importante conferenza internazionale di riesame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare. Essa approfondirà i già menzionati tre pilastri del trattato: non proliferazione, disarmo e uso pacifico dell’energia nucleare. Inoltre il Presidente Obama ha indetto per il 12 e 13 aprile 2010 a Washington un Vertice mondiale sulla sicurezza nucleare (i rischi legati alla connessione tra terrorismo internazionale e transnazionale e armi nucleari).
Al di là degli aspetti internazionali, diplomatici e di sicurezza, un punto fondamentale riguarda il “perché” dell’arma nucleare. L’umanità ha da sempre cercato l’arma assoluta, quella definitiva, che fosse talmente potente da renderne impensabile l’uso. Ma l’arma terrorizzante al massimo è anche la più alta aspirazione del terrorismo. Paradossalmente, la “ragione” più citata dell’arma nucleare è quella di rendere impossibile la guerra grazie al terrore; non a caso durante la guerra fredda si parlava di “equilibrio del terrore”. Questo concetto però rappresenta una contraddizione in termini, in quanto il terrore non può mai generare “equilibrio” o stabilità, perché la tensione che ne scaturisce impedisce agli stati, così come alle persone, di collaborare in modo costruttivo, continuativo e su basi solide di reciproca assicurazione. Il terrore nucleare inibisce la politica, condannandoci ad un eterno presente di paura ed incertezza sul futuro. La vera misura anti-proliferazione nucleare, più che su ogni trattato specifico e in teoria vincolante, si basa, in definitiva, sulla fiducia: un sistema internazionale dove ogni Paese ed ogni popolo si senta e sia davvero sicuro. C’è dunque un legame strettissimo ed ineludibile tra non-proliferazione nucleare ed un nuovo ordine mondiale. Le armi nucleari, infine, non sono le uniche armi di distruzione di massa. Che dire infatti delle “distruzioni di massa” dovute alla mal nutrizione, alla desertificazione, al genocidio, alle pulizie etniche, all’AIDS in Africa, alle altre malattie endemiche?