Correva l’anno 1918, la prima guerra mondiale era appena terminata. Il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson pronunciò un discorso “fondativo” per l’ordine mondiale successivo al tragico conflitto, elencando 14 punti sui quali esso avrebbe dovuto basarsi. Al primo posto Wilson pose la necessità di una maggiore trasparenza nei rapporti internazionali, e quindi il divieto non solo di trattati segreti, ma anche di trattative opache. Per molti aspetti, dunque, questo passaggio storico può essere considerato come l’atto di nascita della “diplomazia pubblica”.
Una dimensione alla quale non solo i governi, ma i diplomatici della vecchia scuola non guardano certo con particolare favore, tranne nel caso in cui con l’espressione “diplomazia pubblica” si intende una forma di propaganda politica all’estero.
In realtà, l’intuizione di Wilson era fondata, perché l’obiettivo della stabilità e della pace internazionale non può essere perseguito se non nella chiarezza delle posizioni. Si può anzi affermare che la tradizionale concezione della diplomazia come l’arte dell’ambiguità e della doppiezza è l’esatto contrario di una diplomazia matura, consapevole e responsabile.
Che c’entra tutto ciò con la vicenda Wikileaks?
La dimensione della “pesca” compiuta nel mare dei messaggi inviati a Washington dalla rete diplomatica USA è un punto dirimente. Se si fosse trattato di rivelare specifiche questioni di pubblico interesse (come nel caso delle violazioni di diritti umani o di operazioni contrarie al diritto internazionale) allora fenomeni di questo tipo potrebbero essere comprensibili quanto alle loro motivazioni. Se invece si “intercettano” in massa 250.000 messaggi al solo fine di dimostrare di poter violare circuiti di comunicazione “protetta”, allora le finalità dell’operazione sono meno chiare e giustificabili. È vero che le analisi dei diplomatici spesso non rivelano particolari segreti; cionondimeno, disporre di canali di informazione diretta, quali sono le reti delle ambasciate, rappresenta per i governi di tutto il mondo una risorsa insostituibile.
Nel mondo dell’informazione globale, i diplomatici svolgono un ruolo prezioso di selezione, di approfondimento e di valutazione delle informazioni, promuovendo una maggiore comprensione dei paesi e tra i paesi, essenziale ai fini della pace. Mettere a rischio questo circuito non è solo un danno per i governi, ma nemmeno fa un buon servizio alla causa della trasparenza. È facile immaginare, infatti, che d’ora in poi le ambasciate adotteranno sistemi più chiusi e riservati nelle loro comunicazioni. Paradossalmente, Wikileaks rischia di vanificare proprio l’obiettivo della “diplomazia pubblica” di Wilson.