Palestina, lo stato che manca

Il significato del "riconoscimento" dello stato della Palestina da parte dell'Unesco (organizzazione dell'Onu che si occupa di cultura) è certamente simbolico, ma non è per nulla irrilevante. Al contrario, è destinato a provocare un terremoto in tutta la politica mediorentale, con contraccolpi a livello globale.
È anzitutto interessante osservare come nell'ampia maggioranza dei paesi favorevoli (107) vi siano la Cina, l'India, il Brasile, il Sudafrica, la Russia e tutti i Paesi arabi: tutto il fronte dei paesi emergenti ed in transizione, quasi a sancire una sorta di sfida implicita al cosiddetto "ordine mondiale".
Quanto all'Europa, come nella schedina del totocalcio, ha giocato tutte e tre le possibili opzioni 1 X 2; a favore la Francia, contraria la Germania, astenute Italia e Gran Bretagna. Tuttavia il quadro cambia aspetto se si considera che tutti i paesi mediterranei, del sud e del nord, con la sola eccezione dell'Italia (decisione ardua da motivare) e del Montenegro (se vogliamo considerarlo un paese mediterraneo),hanno votato a favore (ovviamente Israele si è opposta).
In campo occidentale, scontata ma non meno grave la posizione contraria degli Stati Uniti; atteggiamento che pare davvero difficile fondare su serie considerazioni di politica internazionale, e che invece sembra rispondere ad una ferrea logica di gruppi di pressione interni, ai quali nemmeno un deludente Obama è stato capace di sottrarsi, tanto più in vista delle presidenziali di novembre 2012. Non ha senso, infatti, continuare a ripetere all'infinito che la soluzione dei "due popoli, due Stati", deve venire solo da accordi bilaterali. Dalle intese di Oslo in poi, passando per il pomposo ma vacuo vertice di Annapolis nel 2007, lo Stato palestinese non solo non è stato creato attraverso i negoziati diretti, ma vi sono stati sostanziali e forse irrimediabili passi indietro ( basti pensare alla esponenziale espansione degli insediamenti israeliani). Insomma, se la comunità internazionale non assicura un impulso, non succede un bel nulla, ed anzi si compromette quel poco che si è ottenuto.
Da questo punto di vista, l'iniziativa di Abu Mazen di presentare formale domanda di adesione alle Nazioni Unite lo scorso 23 settembre, per quanto se ne possa discutere l'opportunità politica, ha avuto quanto meno il merito di smuovere le acque. Lo status quo è durato troppo ha lungo, si è trasformato in una strategia politica dilatoria; oggi non è più sostenibile.