La crisi siriana tra Mosca e Washington


La crisi siriana è stata sin dall’inizio un conflitto interno “trans-nazionalizzato”, nel quale i protagonisti non sono solo gli attori “locali”, ma governi, organizzazioni, gruppi collocati ben oltre le frontiere della Siria.  Abbiamo potuto constatare che si tratta anche di una crisi internazionale di primissimo livello, che sembra aver persino riacceso la contrapposizione russo-americana, quasi si fosse tornati al clima della guerra fredda. Sarebbe tuttavia superficiale identificare in Putin il “vincitore” nel duello tra Mosca e Washington. Da una parte, è indubbio che la mossa “diplomatica” di Mosca di fare pressioni su Damasco affinché accettasse di mettere le proprie armi chimiche sotto il controllo internazionale ha spiazzato l’Amministrazione Obama, rendendo politicamente indifendibile la tentazione di una operazione militare “punitiva” contro la Siria di Assad. Dall’altra, Washington può sostenere che Assad è venuto a più miti consigli solo dopo essersi reso conto della “serietà” delle intenzioni americane.  Inoltre, la presunta “vittoria” di Putin non è priva di conseguenze in termini di responsabilità. Non basta, infatti, interdire le iniziative altrui (per quanto improvvide), ma occorre farsi carico realmente delle questioni strategiche mondiali, ad esempio nel caso del programma nucleare iraniano.  Finora la Russia ha svolto, appunto, un ruolo reattivo, specie per quanto riguarda la libertà dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica di scegliere in piena autonomia le proprie alleanze e l’orientamento rispetto alle questioni della sicurezza e dell’integrazione nelle istituzioni europee. La credibilità e la coerenza sono valori essenziali nelle relazioni internazionali, e né Mosca né Washington né qualunque altro Paese può immaginare di poterne prescindere. Parliamoci chiaro: Stati Uniti e Russia hanno ancora un ruolo preponderante sulla scena mondiale essenzialmente per ragioni militari. Il mondo tuttavia avrebbe bisogno non di “egemoni” più o meno “benevoli”, ma di istituzioni comuni forti, rispettate sempre da tutti gli Stati, non solo quando ciò risponde ai loro interessi.