L'Occidente tra differenza ed indifferenza

Una profonda analisi delle ragioni e delle radici profonde della violenza e' contenuta nel libro di Luigi Zoja, Contro Ismene (Bollati Boringhieri, Torino 2009). Una delle spiegazioni piu' convincenti di Zoja a tal proposito si puo' far risalire alla tendenza che egli chiama riduttivismo, malattia dell'Occidente . In estrema sintesi, il riduttivismo e' la tentazione ricorrente di negare la complessita' e la molteplicita', e si manifesta in pratica nell'avversione verso il diverso e la differenza piu' in generale. Si potrebbe dire che e' una sorta di comoda scorciatoia utilizzata per evitare di "applicarsi" a comprendere la realta' - soprattutto quella umana e sociale - nelle sue multiformi manifestazioni. C'e' da chiedersi se alla base di molte forme di localismo esasperato, di "bigottismo culturale" (come dicono gli americani) e di xenofobia non vi sia proprio questa malattia del riduttivismo. Una malattia, aggiungo, che si presenta con due sintomi apparentemente contrapposti: da una parte, l'iper-sensibilita' reattiva contro ogni differenza, percepita come un attentato identitario esistenziale; dall'altra, paradossalmente, la totale indifferenza nei riguardi dei "prossimi", se percepiti come inoffensivi rispetto allo spazio vitale dell'individuo e della comunita' chiusa. Queste due polarita' - differenza e indifferenza - costituiscono il dilemma/paradosso della politica e, piu' in generale, della filosofia pubblica occidentale.
Il riduttivismo si affaccia con apparenze strumentali e dimesse, ma in realta' e' un'idea forte nella storia dell'Occidente. Per riduttivismo intendiamo una prospettiva della conoscenza che sostituisce le esperienze multiformi e i punti di vista complessi con uno solo. Un simile atteggiamento seduce l'osservatore per la sua funzionalita', ma impoverisce l'oggetto osservato. Favorisce le spiegazioni tecniche e scientifiche, ma danneggia la comprensione e la profondita' dell'esperienza (....) Uno spettro si aggira quindi per la globalizzazione. Un male che a poco a poco puo' divorare tutti, ma e' cosi' silenzioso da non fare paura. Non si tratta di una poverta' materiale - che il mondo di oggi e' in grado, prima o poi, di sconfiggere - ma di una miseria culurale e spirituale: che puo' proseguire nei secoli, farsi definitiva. Il riduttivismo e' una poverta' del pensiero, della comprensione, della compassione.Se fosse materiale si potrebbe intravvedere il suo superamento: l'economia, in fondo, come la scienza, segue un progresso cumulativo. E', invece, la miseria dell'anima.

Tra le varie forme di riduttivismo, Zoja ricorda quella della democrazia ridotta a mera governabilita'; quella della liberta' economica, ridotta sempre piu' alla liberta' del mercato e dei prezzi; quella della politica internazionale, ridotta da un lato alla lotta contro il terrorismo, dall'altro al controllo dell'immigrazione.
In pochi anni, infatti, in paesi come la Francia o l'Italia l'immigrazione sembra diventata il cuore della politica, almeno per i movimenti populisti che evocano emozioni primitive e consensi facili. Come conseguenza, anziche' aumentare gli aiuti rivolti all'arretratezza che causa l'immigrazione, aumentiamo le difese per tener fuori gli immigranti: cioe', rendiamo piu' rigido proprio quel differenziale, quella spaccatura tra ricchi e poveri, che e' la causa delle migrazioni. (.....) Quello che nella tradizione cristiana era il prossimo viene ridotto prima a estraneo, poi, pian piano, a nemico. (...) Sullo scenario mondiale, l'uso paranoico della paura colnsente di dichiarare guerra non a un avversario, ma a una astrazione (war on terror)e a un nemico invisibile (faceless enemy). Sul piano interno, il capro espiatorio piu' frequente e' costituito dagli immigrati. (...) Naturalmente la sintesi perfetta si realizza quando si puo' dire che immigrato e terrorista sono la stessa cosa. Si potrebbe ormai costruire un assioma: chiunque riesca a formulare in modo mediatico una minaccia all'identita' ricevera' ascolto.