Ogni anno il SIPRI, l’Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace, pubblica statistiche ragionate sulle spese militari nel mondo. Rispetto al 2016, la spesa globale per armamenti è cresciuta, nel 2017, dell’1,1%, raggiungendo la cifra astronomica di 1739 Miliardi di dollari. Il meno che si possa dire è che la disponibilità di strumenti militari di varia taglia e natura non facilita la ricerca di soluzioni pacifiche alle crisi ed alle tensioni. Mentre gli Stati Uniti restano di gran lunga in testa alla classifica (nel 2017 hanno speso 610 miliardi dollari) la Cina si presenta con cifre di tutto rispetto, essendo progressivamente passata dal 5,8 percento della spesa mondiale del 2008 al 13 percento del 2017. Ma anche la spesa indiana per armamenti cresce, con un incremento del 5.5 percento rispetto al 2016. In generale, si osserva una “migrazione” delle spese militari dall’area atlantica a quella asiatica. E’ chiaro che in Asia non tutti credono che l’ascesa della Cina sia del tutto “pacifica”. Al contrario, anche per le difficoltà economiche, l’esborso in armamenti della Russia è sceso del 20 percento nel 2017 rispetto al 2016.
La spesa militare più preoccupante, non in valore assoluto o percentuale, ma per il suo significato, riguarda il Medio Oriente, che ha fatto registrare un 6.2 percento in più rispetto al 2016, con punte in Iran (19 percento), Iraq (22 percento), Arabia Saudita (9.2 percento). E ciò in una situazione di bilanci pubblici in crisi per via del calo del presso del petrolio. Cosa rivelano queste cifre? Per una parte, esse sono lo specchio di tensioni crescenti (si pensi alla contrapposizione tra Iran ed Arabia Saudita). Ma esse riflettono anche il declino di credibilità delle istituzioni internazionali e del sistema della “difesa collettiva” delle Nazioni Unite. Non è vero che la guerra sia la continuazione della politica; essa ne rappresenta il pieno fallimento. Organizzazioni internazionali forti riducono l’incertezza, creano un terreno favorevole alle transazioni, al negoziato. L’attuale fase di ri-nazionalizzazione della politica mondiale lavora in senso opposto alla sicurezza internazionale, e la sensazione di imprevedibilità fa crescere l’illusione pericolosa di una difesa armata. In realtà, l’unico serio meccanismo di risoluzione delle crisi rimane una saggia ed equilibrata diplomazia preventiva, di cui c’è estremo bisogno.