Una sconfitta del sogno europeista

Condivido la seguente analisi di Paolo Pombeni pubblicata sul "Mattino" di oggi 20 Novembre 2009 riguardo alla vicenda della nomina del nuovo Alto Rappresentante della politica estera e di difesa europea. Al di la' dei nomi e delle qualita' delle persone scelte per i due alti incarichi istituiti dal Trattato di Lisbona (entrambe piu' che rispettabili), la tendenza miope e potenzialmente auto-distruttiva alla ri-nazionalizzazione delle politiche degli Stati membri dell'UE non rendera' certamente grande nessuno degli attuali "nani politici" che pretendono di avere un qualche peso, "uti singuli", nel processo di traslazione del potere mondiale verso i cosiddetti "Paesi emergenti" (in realta' emersi da tempo) come Cina, India, Brasile. E' una scelta anti-storica; un passo avanti verso la "disintegrazione dell'Europa", considerata ormai a Parigi, a Londra e a Berlino come una sorta di "segretariato esecutivo" delle ex-grandi potenze che non si rassegnano a pensare il mondo in termini realistici, e cioe' come un network complesso dove contano le macro-regioni e dove avra' sempre piu' peso concreto (altro che utopia!) la capacita' di immaginare soluzioni innovative, inclusive, trans-nazionali.
Diciamolo francamente: un`Europa così ci piace poco. Non è questione di nazionalismo, ma di senso degli obiettivi che ci si vogliono porre. L`Europa ha un problema grosso ed è quello dì contare sulla scena internazionale. Basta guardare a quello che è successo in questi giorni con la missione di Obama in Estremo Oriente, per capire quali rischi di irrilevanza corre la UE nella nuova strategia globale. Romano Prodi lo va ripetendo da tempo. Consapevole che ci sarebbe bisogno del classico colpo di reni se non si vuole essere tagliati fuori dal ridisegno della geografia politica mondiale. Ebbene, a fronte di questo cosa avviene? Ventisette capi di stato, nell`antistorica illusione di salvare il peso autonomo di ciascuno dei loro paesi, affossano le potenzialità che mette loro in mano il Trattato di Lisbona faticosamente varato dopo un lungo tira e molla. Come altrimenti si potrebbe definire la scelta di avere come Presidente della Unione il premier belga Roumpuy, figura non certo carismatica, ma almeno un capo di governo, ma soprattutto di
mettere alla testa della politica estera europea Catherine Ashton, una figura più che pallida, mai stata neppure ministro, arrivata da poco nel meccanismo di Bruxelles? Il famoso numero di telefono che cercava Kissinger temiamo continuerà a suonare a vuoto, perché da quel che è stato deciso emerge con tutta evidenza che il Trattato di Lisbona non rilancia la governance di una "Unione", ma ripiega su una pallida confederazione in cui nessuno deve disturbare i poteri dei vecchi capi di stato europei, ancora illusi di poter pesare alla testa non più di "potenze", ma di stati-nazione che non hanno il peso né fisico né morale per dettare una qualche linea sul fronte delle relazioni internazionali. Come si è giunti a bruciare candidature ben più prestigiose? I retroscenisti si sbizzarriranno a darci notizie su questa politichetta dei Sarkozy, Merkel, Brown e compagnia, abili nel montare gli umori dei paesi minori, nel fingere di essere lungimiranti perché si va dietro alle mode di turno (ci vuole la donna, bisogna tenere dentro la Gran Bretagna, ecc.), ma ciechi nel non vedere che il consenso all`Europa è in netto calo dentro e fuori la UE. Emblematico di come si ragiona a Bruxelles era già stato nei giorni scorsi il discorso del verde Cohn Bendit su D`Alema: "non si è molto occupato di diritti umani". Eccoli, espressi in bella forma, i cascami della politica come utopia. Certo gente come D`Alema o Milliband (l`altro candidato forte) o Giuliano Amato (nome che pure era emerso per brevi attimi) sono gente che fa politica piuttosto che prediche e appelli. Però di questo aveva bisogno l`Europa, proprio nel momento in cui dobbiamo confrontarci con una crisi internazionale che minaccia di non essere solo economica. Qualcuno fra i 27 ascoltava le notizie sulle esternazioni di Obama a proposito del nucleare iraniano e del gioco allo sfinimento che ha messo in piedi la Corea del Nord? Qualcuno pensa cosa ci potrebbe toccare in una fase in cui i grandi paesi avranno da misurarsi con crisi interne non facilmente gestibili, cioè con le condizioni che storicamente sono più propizie per scaricare all`esterno questo genere di problemi? I maligni diranno che uno deí vincitori di questa modesta partita è stato Barroso, che era colui che rischiava di più dalla presenza di un "ministro degli esteri" e vicepresidente della Commissione che fosse dotato di una rilevante personalità. Può darsi, ma in fondo ciò farebbe parte delle normali dinamiche della politica. La cosa incomprensibile è invece l`incapacità del parlamento europeo, cioè dei nostri rappresentanti, di capire che assecondando questo giochetto, come pare abbiano fatto, si è castrato con le sue mani. Il Presidente da un lato, ma lo stesso Alto rappresentante dall`altro dovevano essere, nella architettura di chi aveva pensato prima il Trattato costituzionale e poi la sua versione ridotta approvata a Lisbona, le colonne di una nuova capacità di incidere dell`Europa proprio in quanto "Unione". Ciò avrebbe significato anche per il Parlamento poter fare "politica" (e non solo dibattiti a vuoto sui massimi sistemi o leggine per regolamentare materie in fondo minori) e dimostrare agli scettici cittadini della UE, i quali per più di metà non vanno neppure a votarli, che l`Europa c`era e che valeva la pena di impegnarsi a farla crescere. Diciamolo francamente: oggi, per tutti gli europeisti veri è una giornata triste.