A vent’anni dal Muro, una «nuova alleanza» globale


Se la crisi globale ha un merito – ammesso che ve ne sia uno – e’ che, dopo vent’anni, e’ venuto meno il “trionfalismo della guerra fredda”. Che suonava piu’ o meno cosi’: il capitalismo e la democrazia liberale hanno vinto, il comunismo ed il socialismo reale hanno perso, c’e’ dunque un solo modello sociale, economico e politico, ed e’ quello liberale e liberista. E’ la retorica della “fine della storia”. Ma a due decenni dalla caduta del Muro di Berlino, non e’ forse caduto anche il “Muro di Wall Street”? Il punto e’ che un evento storico di tale portata non puo’ essere ridotto a formule semplicistiche. Il Muro di Berlino cadde (anzi, per essere precisi, fu “abbattuto”) per una serie di concause, dal fallimento economico del modello dirigista e statalista dell’Est (una sorta di “implosione”) all’insostenibilita’ anzitutto economica di una folle corsa agli armamenti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, all’operare di “forze profonde” di matrice sociale, culturale e spirituale che i regimi comunisti non sono mai riusciti a sopire. Guardando all’attuale “disordine mondiale”, alcuni commentatori sono persino arrivati a rimpiagere la “stabilita’” prodotta dalla Guerra Fredda. E’ un’opinione che non si puo’ condividere, per diverse ragioni. Anzitutto perche’ si dimentica che quella terminata nel 1989, ancorche’ “fredda”, e’ pur sempre stata una guerra. In quasi tutti gli angoli del mondo, e in quasi tutte le attivita’ umane, possiamo riscontrare ancora oggi l’impatto negativo di un confronto durato ben 45 anni. In secondo luogo, perche’ se la caduta del Muro ha portato all’esplosione di conflitti a lungo sopiti (basti pensare alla ex-Jugoslavia), questo evento epocale ha anche liberato forze prigioniere della logica bipolare, consentendo, ad esempio, la “riunificazione” – come diceva Giovanni Paolo II - dei due “polmoni” dell’Europa (oltre che della Germania). L’attuale instabilita’ non e’ un effetto diretto della caduta del Muro, ma dell’incapacita’ (o di mancanza di volonta’ politica) della comunita’ internazionale (e dei Paesi che ne sono leader indiscussi) di creare strutture e funzioni per una nuova governance mondiale, pluralista e multilateralista. Da questo punto di vista, il ventennio che ci lasciamo dietro e’ fatto in buona misura di occasioni perdute. Ci siamo concentrati su uno stucchevole dibattito sullo “scontro di civilta’” e non abbiamo affrontato per tempo i “nodi della civilta’”, vale a dire i grandi problemi globali come le sperequazioni economiche a livello mondiale, il cambiamento climatico, il grande tema “bio-politico” della fame e delle malattie endemiche. Ci siamo interrogati a lungo se il mondo fosse diventato “unipolare”, “multipolare”, “unipolare” o “interpolare”. Nel frattempo, non solo il polo (quello geografico e climatico) cominciava a sciogliersi, ma anche l’idea stessa di “polarita’” in campo internazionale, tanto che si e’ parlato di un mondo “non-polare”. Ma in che mondo ci troviamo vent’anni dopo il Muro? Un politologo francese, Dominique Moïsi, ha recentemente scritto un libro sulla “geo-politica delle emozioni”. Ed ha abbinato alcune fondamentali “emozioni” umane, quali la paura, la speranza e l’umiliazione a determinate regioni del globo. Cosi’, l’Occidente appare oggi dominato dalla «paura» e dall’ossessione della sicurezza, mentre e’ l’Asia a nutrire la «speranza» nel futuro, pur nelle sue profonde contraddizioni e divisioni. Altre regioni, quali ad esempio il Medio Oriente inteso in senso ampio e la stessa Africa, soffrono ancora delle conseguenze di «umiliazioni» subite nel corso della loro storia. Sappiamo che la realta’ e’ molto piu’ complessa, e che questi sentimenti sono compresenti nelle diverse aree del mondo, pur con una mistura diversa. Per fare della speranza una «emozione» universale, c’e’ bisogno di un nuovo progetto politico internazionale, un «new deal» globale, una nuova alleanza piu’ inclusiva e paritaria, che vada ben oltre le alleanze economiche e militari esistenti. Non e’ per nulla un progetto utopico; basti guardare allo stato del mondo per comprendere che non solo e’ realistico, ma anche urgente e necessario. La nuova “governance globale” di cui tanto si parla, ma di cui sinora poco si e’ visto, puo’ rappresentare un’occasione unica. Non lasciamola passare invano.