Trump e l'Asia

Ci sono alcune certezze sulla nuova politica asiatica di Trump, emerse dopo il suo viaggio nella regione nel novembre 2017. Il primo dato riguarda il rapporto con la Cina di Xi Jinping. Nella prima fase della Presidenza Obama, si era ventilata la possibilità di un duopolio sino-americano nella politica mondiale. Oggi la nuova normalità sembra non tanto una rivalità, quanto un percorso parallelo per l’egemonia del XXI secolo.  L’idea sovranista di Trump  (“America First”)  appare tutto sommato una prospettiva di breve periodo, mentre a Pechino si ragiona in termini di decenni. La Cina non ha fretta, ma sin d’ora ha capovolto la retorica globalista: non è più Washington, ma Pechino, la centrale della globalizzazione, che oggi è più conveniente per quella parte del mondo. Il paese che costruì la Grande Muraglia sostiene che è necessario abbattere i muri dell’economia chiusa. Trump, per contro, iniziò il suo mandato annunciando, tra i molti “ritiri”, anche quello dalla “Trans-Pacific Partnership (TPP)”, un accordo commerciale con i Paesi dell’interna regione del Pacifico. A Washington non si ragiona più tanto di Asia-Pacifico, ma del rapporto con un’area Indo-pacifica, sugellando la sfasatura nel rapporto con la Cina. 
La seconda certezza riguarda la Corea del Nord, che, dopo avere portato la tensione ai massimi livelli con due test di missili balistici intercontinentali (capaci di colpire a migliaia di chilometri di distanza) e una nuova esplosione nucleare sperimentale, sembra voler evitare la strada del suicidio politico (ed anche militare). Kim Jong-un, come tutti gli autocrati, intende conservarsi al potere. Ciò non toglie che ora la situazione nell’area sia molto difficile da gestire, con un governo giapponese assertivo e senza inibizioni quanto ad un eventuale riarmo e la Corea del Sud in grande apprensione. In questo gioco rischioso si parla con sempre minore convinzione dell’obiettivo della de-nuclearizzazione della penisola coreana, vera soluzione strategica della crisi. 
Un terzo dato è costituito dalla propensione, non solo americana, a ridurre le relazioni politiche e diplomatiche tra i grandi attori della regione asiatica ad una somma di bilateralismi, di rapporti diretti tra governi, con un peso decrescente dei meccanismi di cooperazione regionale. E’ però un’illusione. Soprattutto in Asia, saranno le reti economiche, sociali, umane, a guidare la politica del futuro.