La citta' rinnovata dal dialogo

Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, 5 dicembre 2008

Il dialogo non è uno tra i tanti atteggiamenti che l’uomo può assumere, ma è un tratto fondamentale, costitutivo, della sua umanità. Deve diventare un atteggiamento stabile, una virtù che l’uomo sapiente sa ricercare e coltivare, anche a prezzo di fatica.
Così sant’Ambrogio scrive, commentando il versetto biblico “Lo stolto cambia come la luna”: «Il sapiente non è abbattuto dal timore, non è mutato dal potere, non è esaltato dalla prosperità, non è sommerso dalla sventura. Dove c’è la sapienza, c’è la virtù dell’animo, ci sono la costanza e la fermezza. Il sapiente, dunque, (…) rimane perfetto in Cristo, “fondato nella carità”, “radicato” nella fede…».(...) Ripensando all’uomo sapiente e giusto descritto da Ambrogio, mi chiedo: “E’ ancora possibile un dialogo?”, anzi: “E’ ancora possibile il dialogo?”. E ancora: “Quanto oggi siamo disponibili a considerare il dialogo uno strumento importante per il nostro vivere personale e sociale?”. (...)Il mistero della reciprocità e la virtù della comprensione Ma a quali condizioni il dialogo è possibile? Il dialogo autentico esige l’attenzione all’altro, la propensione ad ascoltarlo e perfino a comprenderlo, anche quando non se ne condividono le vedute. Non è semplice dialogare. Mette in gioco tutto di noi stessi: l’identità, la storia, la persona. La relazione nel dialogo non può essere generica: ha bisogno di un “tu”, ma anche di un “io”, di una persona che, non avendo paura dell’altro, si lascia coinvolgere in questa esperienza che rende unico e contraddistingue l’essere umano dal resto del creato. Il libro della Genesi, al suo inizio, mostra come Adamo diventi pienamente uomo quando può entrare in dialogo con Eva, suo simile, e con Dio, il Creatore: l’uomo è costitutivamente un essere-in-dialogo. Il dialogo ci immette nel mistero della reciprocità e della prossimità. Così ciascuno, dialogando, mostra il proprio volto più autentico. Ci è chiesto un cammino ascetico personale. L’uomo infatti a dialogare impara. Impara cioè a comprendere l’altro. E per comprendere realmente è richiesta una disponibilità iniziale che ci fa lasciare alle spalle ogni egoismo ed ogni individualismo. Romano Guardini individuava l’inizio di ogni comprensione – e dunque del dialogo – nel riconoscimento e nel rispetto della libertà dell’altro, e dunque della sua dignità di persona. L’altro – scriveva – è da guardarsi “con l’occhio della libertà, la quale dice anzitutto: Sii quello che sei; e solo dopo: Ed ora vorrei sapere come sei e perché”. Per iniziare il dialogo occorre riconoscere la libertà dell’altro, consentirgli di essere se stesso, non ridurlo ad essere come lo vorremmo, su nostra misura, a nostra immagine e somiglianza. L’altro è invece da scoprire sempre nella sua unicità e irripetibilità, ad immagine e somiglianza di Dio, come afferma la fede cristiana.Il dialogo esige anche tempo, quel tempo che è sempre più scarso, pressati come siamo da mille cose e mille impegni. Ma concederci più tempo ci aiuterebbe a metterci di fronte a noi stessi, a fare chiarezza, a scorgere le nostre debolezze e ad assumerci le nostre responsabilità! Solo a queste condizioni il dialogo diventa possibile. Ovviamente ciò che vale per i singoli, vale anche, se pure con modalità differenti, per le diverse componenti sociali, per le diverse generazioni, per le parti politiche, per i popoli, i laici e i credenti, le diverse razze, nelle istituzioni, dentro la Chiesa…
(...)Conosciamo l’obiezione: dialogando, la nostra Città non corre il rischio di divenire un luogo senza identità precisa? No, personalmente sono convinto che il dialogo rafforza l’identità, la arricchisce, la rinnova, la proietta verso il futuro. La paura di indebolire o di perdere, nel dialogo, la nostra identità non è forse segno di un’identità già indebolita, se non addirittura estenuata? Siamo stati disposti ad un percorso debole nella storia occidentale, perché abbiamo ritenuto che questo ci permettesse di vivere meglio, più comodamente, senza problemi di confronto, consentendoci individualismo e separazione.
Adesso però la sfida, anzitutto culturale, portata alle nostre città dai popoli e dalle genti che domandano cittadinanza ci provoca a questo inevitabile confronto. E’ venuto il tempo, ed è questo, di rinnovare la disponibilità all’incontro e al dialogo, per scoprire e ricordarci “chi” veramente siamo.
Certo, ci vuole coraggio. Ma non mancano donne e uomini animati, anzi appassionati del dialogo autentico.
(...)Sto pensando (...) al rapporto con coloro che vengono da paesi lontani e all’impegno di tanti che, andando oltre la necessaria opera di assistenza, danno vita ad un approccio culturale nuovo: li considerano, cioè, non solo come individui o categoria, ma come persone, portatori di diritti e di doveri; in particolare, li considerano in possesso di un loro quadro di valori, di una visione del mondo, di uno stile di vita, in una parola di una “cultura”. In tal senso dialogare con gli immigrati significa entrare in contatto con la loro cultura, conoscerla, apprezzarla, valorizzarla perché essi, a loro volta, conoscano, apprezzino e valorizzino la nostra cultura. Così ci si augura di crescere insieme e di andare verso una nuova sintesi culturale (...) Sto pensando ancora ai passi compiuti e da compiersi nel dialogo tra le religioni, a cominciare dalla felice esperienza del Consiglio delle Chiese Cristiane, nato nella nostra città dieci anni fa e che è cresciuto fino ad abbracciare oggi 18 confessioni cristiane. Sto pensando, infine, ai fedeli dell’Islam. Spesso sentiamo dire che: “l’Islam disprezza le altre religioni ed i loro credenti, non ha il senso dello Stato tipico della tradizione occidentale, non accetta il principio della laicità, è fanatico, strumentalizza la fede per finalità distorte o criminose, non usa la ragione come mezzo nel confronto e nella discussione con i popoli, schiavizza le donne…”. Sì, ma intanto il dialogo, anzitutto culturale, va incominciato. Singoli gesti e atteggiamenti, per quanto gravi e da deprecare con forza, non siano occasione per guardare con sospetto ed accusare tutti gli appartenenti ad una religione. Si obietta che per un vero dialogo occorre una disponibilità reciproca. Ma è pur necessario che almeno uno inizi, cerchi l’incontro, stabilisca una relazione. Il tutto con pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di ascolto, e lasciando che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato. (...)Il frutto maturo del dialogo non è necessariamente la coincidenza delle idee. Il buon dialogo non è infatti mettersi l’uno di fronte all’altro e misurarsi per vedere chi ha ragione e chi ha torto; è piuttosto un mettersi l’uno accanto all’altro, dichiarandosi reciprocamente la volontà di guardare avanti, l’impegno di fare ciascuno la propria parte per il bene comune, la disponibilità anche a modificare il proprio punto di vista. Il dialogo domanda la coerenza del cammino fatto insieme, più che la stabilità della propria posizione. (...) Ricordo qui la prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam, tutta incentrata sul tema del dialogo. In particolare, circa l’annuncio della verità, leggiamo: "Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza…. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. (…) Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l'esempio e il precetto che Cristo ci lasciò". Come si vede, il dialogo per la Chiesa non è un semplice scambio di opinioni umane, perché nasce e muove dalla verità evangelica che il Signore Gesù le ha affidato perché sia annunciata con amore a tutti. Radicata in Cristo, sua pietra angolare, la Chiesa non teme di aprirsi al dialogo con tutti gli uomini e le donne: per essa il dialogo è grazia e responsabilità.(...) La politica merita attenzione e fiducia. Ma richiede partecipazione. Essa ha oggi bisogno di “un di più” di presenza. Se è compito della classe politica riavvicinare i cittadini, è compito anche dei cittadini non abbandonare il campo, riaprire una linea di credito alla politica, tornare al dialogo. É difficile, ma necessario. Questo ritrovato dialogo riaprirà anche un rapporto di maggior fiducia nelle e per le Istituzioni. La Città non esiste senza le sue Istituzioni. Il Paese intero non esisterebbe, non avrebbe identità e volto senza le sue Istituzioni. Ce lo hanno insegnato i padri costituenti.(...) Sono convinto che solo il dialogo costruisce e rende forte la Città, perché la sua convivenza sociale e civile poggia sulla relazione. E la trama di rapporti che animano la Città non può essere solo di tipo mercantile, ma deve diventare un evento in cui ogni interlocutore si mette in gioco con fiducia, si apre all’altro, lo ascolta, gli risponde senza pregiudizi, senza desiderio di asservirlo. É dalla qualità del dialogo che dipende il vero volto della Città, il suo essere aperta, accogliente, attenta ai suoi cittadini: ai piccoli, agli anziani, ai malati. (...) Prendo spunto, ancora una volta, da sant’Ambrogio: «Vuoi costruire una città come si conviene? É meglio il poco col timor di Dio che grandi tesori senza di esso. Le ricchezze dell’uomo devono giovare al riscatto della sua anima, non alla sua rovina. E il tesoro serve al riscatto, se uno ne fa buon uso…». Ambrogio ci parla di una città molto particolare, l’anima dell’uomo, ma la sua metafora prende spunto dalla città reale.

Abbiamo bisogno di luoghi di preghiera in tutti i quartieri della città. Ne hanno un bisogno ancora più urgente le persone che appartengono a religioni diverse da quella cristiana, in particolare l’Islam. Tettamanzi ha poi aggiunto altri spunti di riflessione: «Non tocca alla Chiesa trovare luoghi di culto per i musulmani, questo è un compito di cui si deve occupare l’amministrazione pubblica. Ma la libertà di religione e di preghiera sono diritti fondamentali dell’uomo, che vanno riconosciuti in un clima di convivenza civile».
+