Le congratulazioni che il Presidente Bush aveva indirizzato a Sua Santita’ Benedetto XVI in occasione dell’elezione al Soglio Pontificio («un uomo di grande sapienza e cultura»), pur nella loro protocollare laconicita’, vanno lette nel solco di quell’azione di rilancio e consolidamento della «nuova alleanza» con la Chiesa cattolica dopo i dissapori scaturiti, in anni recenti, prima dallo scandalo degli abusi sessuali ai danni di minori da parte di esponenti del clero negli Stati Uniti, poi dall’opposizione del Papa Giovanni Paolo II all’intervento militare in Iraq. Una strategia culminata nella scelta dello stesso Presidente di partecipare ai solenni funerali di Giovanni Paolo II, significativo gesto di «riconciliazione» accompagnato dal «rincrescimento» di non aver avuto l’opportunita’ – nelle parole del Presidente – di “spiegare” a Giovanni Paolo II le “ragioni” di una “guerra giusta”. La scelta del Cardinale Ratzinger come successore di Giovanni Paolo II sembrava essere stata contemplata nelle valutazioni dell’Amministrazione Bush, come si e’ appreso da un discorso dell’ex-Ambasciatore presso la Santa Sede, Jim Nicholson, poi a capo del Dicastero per i reduci di guerra. Nicholson avrebbe “profetizzato” l’investitura di Ratzinger alla delegazione americana presente ai funerali di Giovanni Paolo II.
La marcia di riavvicinamento era in realta’ gia’ stata accelerata nei primi concitati mesi della crisi irachena nel 2003, su due fronti: da un lato, la “diplomazia pubblica” di teologici neo-conservatori come Michael Novak (American Enterprise Institute) e George Wiegel per illustrare nei cenacoli universitari cattolici romani un’interpretazione «aggiornata» della tradizionale teoria della guerra giusta; dall’altro, la valorizzazione di piste analitiche provenienti da autorevoli settori del Vaticano tese ad adattare alla situazione dei cattolici americani – specie di quelli chiamati a combattere in Iraq - la ferma presa di posizione di Giovanni Paolo II contraria all’intervento militare. In tale contesto, non erano mancati pronunciamenti forti, ad esempio contro il Cardinale Martino, Presidente del Pontificio Consiglio “Iustitia et Pax”, accusato in particolare da Novak di sostenere pregiudiziali posizioni «antiamericane». E’ estranea alla mentalita’ degli intellettuali cattolici che sono stati vicini all’Amministrazione Bush anche solo l’idea di una «Chiesa patriottica» americana analoga alla «Chiesa nazionalista» cinese; ben piu’ radicalmente, il loro intento e’ stato piuttosto quello di esercitare una forte influenza al centro, nei luoghi stessi della determinazione dei temi dottrinali.
La «svolta» nelle posizioni della maggioranza dei cattolici americani (storicamente elettori del partito democratico) avveniva in concomitanza con la campagna per le elezioni presidenziali del 2004, quando una nota dell’allora cardinale Ratzinger al Cardinale Theodore McCarrick di Washington poneva la questione di un eventuale “diniego” di somministrare la Comunione ai politici cattolici favorevoli all’aborto e/o all’eutanasia. Al di la’ della rilevanza pratica della questione per i cattolici americani (la Conferenza episcopale aveva poi demandato la decisione ai singoli Vescovi) e’ indubbio che essa assunse una chiara valenza politica anche per la piu’ ampia galassia dell’elettorato cristiano (ed in particolare evangelico). Su questi temi, comunque, la piattaforma elettorale di Bush – votato nel 2004 dal 56% dei cattolici - era assai piu’ vicina alle posizioni vaticane di quanto non lo fosse quella del cattolico Kerry, convinto che non si debba imporre per legge “un articolo di fede” (un atteggiamento che, in un altro documento firmato dal Cardinale Ratzinger nel 2002, la “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, e’ definito in termini di condiscendenza verso il «pluralismo etico»). Nella lettera indirizzata al Cardinale McCarrick si affermava esplicitamente che «non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell´aborto e dell´eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull´applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi, per questa ragione, indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione».
La prudenza dell’Episcopato statunitense (salvo qualificate eccezioni) su questo argomento dimostra una certa costitutiva refrattarieta’ della professione religiosa in America (generalmente “anti-concordataria”, anche sulla base del I emendamento alla Costituzione) sia ad un eccessivo “centralismo” sia ad interventi sovraccarichi di motivazioni religiose da parte delle istituzioni politiche nelle questioni etiche e sociali. In occasione della campagna elettorale del 2004, nonostante le numerose “guide” messe in circolazione da “catoni” non certo politicamente neutrali, per orientare il voto cattolico centrate quasi esclusivamente sul tema della “vita” (inteso riduttivamente come aborto, eutanasia, ricerca sulle cellule staminali, clonazione, matrimonio omosessuale), la Conferenza Episcopale americana adotto’ un autorevole, articolato ed equilibrato documento, denominato “Faithful Citinzenship: A Catholic Call to Political Responsibility” nel quale si additava senz’altro, tra i criteri di scelta dei canditati, l’impegno per la protezione della vita, ma si includeva in esso la necessita’ di evitare la guerra e si sollevavano seri dubbi etici sulla questione della guerra preventiva, sulle armi nucleari, sulle mine anti-persona, sul commercio di armamenti e sulla pena di morte. Inoltre, a riprova di una concezione della religione come visione del mondo da professare nel foro interno e nella sfera pubblica, ma non necessariamente in quella politica, si considerino le reazioni maggioritariamente negative dell’opinione pubblica americana all’intervento del Congresso nella recente drammatica vicenda di Terri Schiavo, alle quali hanno peraltro contribuito anche radicate convinzioni sull’opportunita’ di evitare l’ingerenza delle autorita’ federali su temi “statali” e la concezione di preservare una rigida separazione di sfere di competenza tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Inoltre, nel contesto americano, generalmente assai tollerante nei confronti delle pratiche religiose, considerate in un’ottica di sostanziale «parita’» (“One nation, under God” – secondo il “Pledge of Allegiance” o giuramento alla bandiera recitato quotidianamente da tutti gli alunni di tutte le scuole pubbliche di ogni ordine e grado in tutto il territorio americano), furono viste con qualche perplessita’ (anche nel vivace mondo accademico cattolico) le affermazioni sull’esclusivita’ della verita’ religiosa e dell’unicita’ della Chiesa contenute nella Dichiarazione “Dominus Iesus” scritta dal Cardinale Ratzinger nel 2000.
Fin qui la storia recente. Difficile valutare l’impatto che il Pontificato di Sua Santita’ Benedetto XVI ha sinora avuto non solo sull’evoluzione dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Santa Sede, ma anche sulle posizioni dei cattolici americani in materia etica, sociale e politica. Sul primo punto, il gia’ menzionato Nicholson – facendo un esplicito ed azzardato riferimento alla “National Security Strategy” del 2002, o “dottrina Bush” - prospettava una convergenza tra la Santa Sede e l’Amministrazione sulla finalita’ principale verso la quale sarebbe asseritamente indirizzato l’esercizio della supremazia americana, e cioe’ la difesa e la promozione della dignita’ umana. Il «globalismo democratico» sarebbe cosi’ fondato – anche se Jacques Maritain non approverebbe la citazione in questo contesto – su un «umanesimo integrale». Nella stessa direzione puo’ essere letto lo scarno commento del portavoce del Dipartimento di Stato all’elezione del nuovo Pontefice, che sottolineava le relazioni bilaterali gia’ «eccellenti» e le prospettive di una collaborazione nel promuovere nel mondo il valore della dignita’ umana. Su un piano assai meno sobrio, anzi decisamente polemico e tutto sommato «casalingo», si collocano le prese di posizione (piuttosto marginali) delle associazioni delle famiglie dei minori vittime degli abusi sessuali compiuti dal clero in varie diocesi americane sull’atteggiamento tenuto dall’allora Cardinale Ratzinger (ritenuto non abbastanza incisivo e tendenzialmente “apologetico” rispetto alle responsabilita’ accertate).
Quanto al contesto interno americano, e’ interessante riferirsi alle opinioni degli intellettuali piu’ accreditati in virtu’ della loro conoscenza del mondo cattolico americano e per le loro «entrature» vaticane. Si tratta, significativamente, in maggioranza di commentatori appartenenti al cattolicesimo conservatore e neo-conservatore, desiderosi di marcare una presunta «contiguita’ culturale» con il nuovo Pontefice. George Weigel ha salutato l’elezione di Benedetto XVI come la scelta di un nuovo San Benedetto, in grado di rivitalizzare il “freddo e triste” clima culturale europeo ed occidentale, paragonato ad un “nuovo medioevo” (con riferimento alle pratiche eugenetiche immaginate da Aldous Huxley in “Brave New World”). Per Weigel, che simbolicamente contrappone la cultura laicista del «popolo del Cubo» (la “Grande Arche de la Défense” a Parigi, sorta di cattedrale «laica» ai diritti umani) a quella teologale del «popolo della cattedrale» (Notre Dame), la crisi della sfera pubblica in Europa sarebbe da addebitarsi alla secolarizzazione, che avrebbe reso l’Europa stessa un continente «post-cristiano». Weigel vede in questo sviluppo, nel lungo periodo, l’anticipazione di un possibile analogo esito per l’America. Ad un’Europa nella quale regnerebbe la «Cristofobia» Papa Ratzinger intenderebbe contrapporre, per Weigel, la «Cristocentralita’». Per il momento, sono gli Europei ad apparire un «popolo del Cubo» mentre gli Americani rimangono un «popolo della Cattedrale». Rimane tuttavia da verificare, anche tra i cattolici americani (specie tra i “Cafeteria Catholics”, i cattolici della domenica) se i temi piu’ ardui dell’etica sessuale (metodi contraccettivi e AIDS) e della bioetica (ricerca sulle cellule staminali) e dell’assetto del clero (possibilita’ del matrimonio per sacerdoti e suore, ipotesi di sacerdozio femminile) i fermi insegnamenti della dottrina cattolica possano trovare maggiore ascolto di quanto, nei fatti, non ne abbiano avuto sinora. In questo senso - secondo Philip Lawler, direttore del giornale telematico “Catholic World News” e gia’ membro della «Heritage Foundation», “think tank” conservatore – i cattolici «progressisti» dovrebbero prendere atto che «il Papa e’ cattolico», cioe’ strenuo difensore dei valori che la Chiesa considera fondamentali. Altra cosa e’ asserire – come si avventura a fare Lawler e come vorrebbero gli ambienti cattolici conservatori “militanti” - che il Papa abbia ingaggiato un vero e proprio «scontro ideologico» con il pensiero moderno (specie se laico e progressista): uno scontro nella civilta’ (occidentale) prima ancora di uno scontro tra le civilta’.
Da parte sua Michael Novak, nel dirsi convinto che il Santo Padre portera’ a compimento una riforma anche piu’ «radicale» della Chiesa rispetto a quella operata da Giovanni Paolo II (molto impegnato nella proiezione universale del messaggio cristiano), fondata piu’ sulla spiritualita’ che sulla revisione delle strutture, invita a uscire dallo stereotipo del «Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede» divenuto Papa, sottolineando la discontinuita’ tra i due ruoli e le due fasi di Ratzinger. Novak ricorda, al riguardo, che il Cardinale Ratzinger ha coltivato una seria ed articolata dottrina della liberta’ matura e «disciplinata» (lontana dal soggettivismo) nel solco della tradizione del pensiero di Tocqueville, Madison, Lord Acton. Inoltre, mentre Giovanni Paolo II avrebbe concentrato la sua attenzione sulla degenerazione della politica e sul flagello degli autoritarismi e collettivismi, Benedetto XVI – nella lettura di Novak – considererebbe invece la cultura moderna come terreno privilegiato della sua missione. Quest’opinione e’ stata condivisa – ma in un’accezione decisamente piu’ “polemica” - anche dallo stesso Weigel, che sostiene che il nuovo Pontefice sarebbe persuaso che la grande battaglia in corso nel mondo sia soprattutto una battaglia di idee e per le idee.
Quanto allo scenario internazionale, un tema complesso, visto dall’America, riguarda il modo in cui il santo Padre sta interpretando l’universalita’ della Chiesa. Gli accenti posti da diversi commentatori sul suo supposto “eurocentrismo” (sia in termini di provenienza culturale che in quelli di propositi missionari per una ri-evangelizzazione del Vecchio Continente, come sembrerebbe programmaticamente indicare – secondo alcuni commentatori americani - il nome prescelto, piu’ legato alla riforma benedettina che al Pontificato di Benedetto XV) rivelano tra le righe una certa curiosita’ intellettuale per la posizione che l’America assume nella nuova «mappa» della Chiesa cattolica. Inoltre si richiamano le posizioni del Cardinale Ratzinger (per la verita’ espresse a titolo personale) sostanzialmente contrarie all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea (invece fortemente incoraggiato da Washington). Il contesto e’ tuttavia radicalmente mutato dopo la straordinaria visita di Papa Benedetto XVI proprio in Turchia. E’ comunque un tema, questo, che ripropone il piu’ ampio problema del rapporto con il mondo islamico, divenuto di importanza strategica per gli Stati Uniti e per tutto il mondo occidentale dopo l’11 settembre, sia in termini di «Global War on Terrorism» che con riferimento al lancio dell’iniziativa (sostanzialmente fallimentare) per la democratizzazione dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.
In sintesi, gran parte degli intellettuali americani che si sono esposti con commenti sul Pontificato di Papa Benedetto XVI hanno supposto di essere in grado di prospettare la direzione di marcia del suo Pontificato sulla base del percorso intellettuale e teologico del Cardinale Ratzinger. Molti di essi pensavano – e forse tuttora lo pensano - che le fattezze del Pontificato di Papa Benedetto XVI sarebbe state funzionali alle immediate, riduttive e strumentali priorita’ americane.
La marcia di riavvicinamento era in realta’ gia’ stata accelerata nei primi concitati mesi della crisi irachena nel 2003, su due fronti: da un lato, la “diplomazia pubblica” di teologici neo-conservatori come Michael Novak (American Enterprise Institute) e George Wiegel per illustrare nei cenacoli universitari cattolici romani un’interpretazione «aggiornata» della tradizionale teoria della guerra giusta; dall’altro, la valorizzazione di piste analitiche provenienti da autorevoli settori del Vaticano tese ad adattare alla situazione dei cattolici americani – specie di quelli chiamati a combattere in Iraq - la ferma presa di posizione di Giovanni Paolo II contraria all’intervento militare. In tale contesto, non erano mancati pronunciamenti forti, ad esempio contro il Cardinale Martino, Presidente del Pontificio Consiglio “Iustitia et Pax”, accusato in particolare da Novak di sostenere pregiudiziali posizioni «antiamericane». E’ estranea alla mentalita’ degli intellettuali cattolici che sono stati vicini all’Amministrazione Bush anche solo l’idea di una «Chiesa patriottica» americana analoga alla «Chiesa nazionalista» cinese; ben piu’ radicalmente, il loro intento e’ stato piuttosto quello di esercitare una forte influenza al centro, nei luoghi stessi della determinazione dei temi dottrinali.
La «svolta» nelle posizioni della maggioranza dei cattolici americani (storicamente elettori del partito democratico) avveniva in concomitanza con la campagna per le elezioni presidenziali del 2004, quando una nota dell’allora cardinale Ratzinger al Cardinale Theodore McCarrick di Washington poneva la questione di un eventuale “diniego” di somministrare la Comunione ai politici cattolici favorevoli all’aborto e/o all’eutanasia. Al di la’ della rilevanza pratica della questione per i cattolici americani (la Conferenza episcopale aveva poi demandato la decisione ai singoli Vescovi) e’ indubbio che essa assunse una chiara valenza politica anche per la piu’ ampia galassia dell’elettorato cristiano (ed in particolare evangelico). Su questi temi, comunque, la piattaforma elettorale di Bush – votato nel 2004 dal 56% dei cattolici - era assai piu’ vicina alle posizioni vaticane di quanto non lo fosse quella del cattolico Kerry, convinto che non si debba imporre per legge “un articolo di fede” (un atteggiamento che, in un altro documento firmato dal Cardinale Ratzinger nel 2002, la “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”, e’ definito in termini di condiscendenza verso il «pluralismo etico»). Nella lettera indirizzata al Cardinale McCarrick si affermava esplicitamente che «non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell´aborto e dell´eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull´applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi, per questa ragione, indegno di presentarsi a ricevere la Santa Comunione».
La prudenza dell’Episcopato statunitense (salvo qualificate eccezioni) su questo argomento dimostra una certa costitutiva refrattarieta’ della professione religiosa in America (generalmente “anti-concordataria”, anche sulla base del I emendamento alla Costituzione) sia ad un eccessivo “centralismo” sia ad interventi sovraccarichi di motivazioni religiose da parte delle istituzioni politiche nelle questioni etiche e sociali. In occasione della campagna elettorale del 2004, nonostante le numerose “guide” messe in circolazione da “catoni” non certo politicamente neutrali, per orientare il voto cattolico centrate quasi esclusivamente sul tema della “vita” (inteso riduttivamente come aborto, eutanasia, ricerca sulle cellule staminali, clonazione, matrimonio omosessuale), la Conferenza Episcopale americana adotto’ un autorevole, articolato ed equilibrato documento, denominato “Faithful Citinzenship: A Catholic Call to Political Responsibility” nel quale si additava senz’altro, tra i criteri di scelta dei canditati, l’impegno per la protezione della vita, ma si includeva in esso la necessita’ di evitare la guerra e si sollevavano seri dubbi etici sulla questione della guerra preventiva, sulle armi nucleari, sulle mine anti-persona, sul commercio di armamenti e sulla pena di morte. Inoltre, a riprova di una concezione della religione come visione del mondo da professare nel foro interno e nella sfera pubblica, ma non necessariamente in quella politica, si considerino le reazioni maggioritariamente negative dell’opinione pubblica americana all’intervento del Congresso nella recente drammatica vicenda di Terri Schiavo, alle quali hanno peraltro contribuito anche radicate convinzioni sull’opportunita’ di evitare l’ingerenza delle autorita’ federali su temi “statali” e la concezione di preservare una rigida separazione di sfere di competenza tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Inoltre, nel contesto americano, generalmente assai tollerante nei confronti delle pratiche religiose, considerate in un’ottica di sostanziale «parita’» (“One nation, under God” – secondo il “Pledge of Allegiance” o giuramento alla bandiera recitato quotidianamente da tutti gli alunni di tutte le scuole pubbliche di ogni ordine e grado in tutto il territorio americano), furono viste con qualche perplessita’ (anche nel vivace mondo accademico cattolico) le affermazioni sull’esclusivita’ della verita’ religiosa e dell’unicita’ della Chiesa contenute nella Dichiarazione “Dominus Iesus” scritta dal Cardinale Ratzinger nel 2000.
Fin qui la storia recente. Difficile valutare l’impatto che il Pontificato di Sua Santita’ Benedetto XVI ha sinora avuto non solo sull’evoluzione dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Santa Sede, ma anche sulle posizioni dei cattolici americani in materia etica, sociale e politica. Sul primo punto, il gia’ menzionato Nicholson – facendo un esplicito ed azzardato riferimento alla “National Security Strategy” del 2002, o “dottrina Bush” - prospettava una convergenza tra la Santa Sede e l’Amministrazione sulla finalita’ principale verso la quale sarebbe asseritamente indirizzato l’esercizio della supremazia americana, e cioe’ la difesa e la promozione della dignita’ umana. Il «globalismo democratico» sarebbe cosi’ fondato – anche se Jacques Maritain non approverebbe la citazione in questo contesto – su un «umanesimo integrale». Nella stessa direzione puo’ essere letto lo scarno commento del portavoce del Dipartimento di Stato all’elezione del nuovo Pontefice, che sottolineava le relazioni bilaterali gia’ «eccellenti» e le prospettive di una collaborazione nel promuovere nel mondo il valore della dignita’ umana. Su un piano assai meno sobrio, anzi decisamente polemico e tutto sommato «casalingo», si collocano le prese di posizione (piuttosto marginali) delle associazioni delle famiglie dei minori vittime degli abusi sessuali compiuti dal clero in varie diocesi americane sull’atteggiamento tenuto dall’allora Cardinale Ratzinger (ritenuto non abbastanza incisivo e tendenzialmente “apologetico” rispetto alle responsabilita’ accertate).
Quanto al contesto interno americano, e’ interessante riferirsi alle opinioni degli intellettuali piu’ accreditati in virtu’ della loro conoscenza del mondo cattolico americano e per le loro «entrature» vaticane. Si tratta, significativamente, in maggioranza di commentatori appartenenti al cattolicesimo conservatore e neo-conservatore, desiderosi di marcare una presunta «contiguita’ culturale» con il nuovo Pontefice. George Weigel ha salutato l’elezione di Benedetto XVI come la scelta di un nuovo San Benedetto, in grado di rivitalizzare il “freddo e triste” clima culturale europeo ed occidentale, paragonato ad un “nuovo medioevo” (con riferimento alle pratiche eugenetiche immaginate da Aldous Huxley in “Brave New World”). Per Weigel, che simbolicamente contrappone la cultura laicista del «popolo del Cubo» (la “Grande Arche de la Défense” a Parigi, sorta di cattedrale «laica» ai diritti umani) a quella teologale del «popolo della cattedrale» (Notre Dame), la crisi della sfera pubblica in Europa sarebbe da addebitarsi alla secolarizzazione, che avrebbe reso l’Europa stessa un continente «post-cristiano». Weigel vede in questo sviluppo, nel lungo periodo, l’anticipazione di un possibile analogo esito per l’America. Ad un’Europa nella quale regnerebbe la «Cristofobia» Papa Ratzinger intenderebbe contrapporre, per Weigel, la «Cristocentralita’». Per il momento, sono gli Europei ad apparire un «popolo del Cubo» mentre gli Americani rimangono un «popolo della Cattedrale». Rimane tuttavia da verificare, anche tra i cattolici americani (specie tra i “Cafeteria Catholics”, i cattolici della domenica) se i temi piu’ ardui dell’etica sessuale (metodi contraccettivi e AIDS) e della bioetica (ricerca sulle cellule staminali) e dell’assetto del clero (possibilita’ del matrimonio per sacerdoti e suore, ipotesi di sacerdozio femminile) i fermi insegnamenti della dottrina cattolica possano trovare maggiore ascolto di quanto, nei fatti, non ne abbiano avuto sinora. In questo senso - secondo Philip Lawler, direttore del giornale telematico “Catholic World News” e gia’ membro della «Heritage Foundation», “think tank” conservatore – i cattolici «progressisti» dovrebbero prendere atto che «il Papa e’ cattolico», cioe’ strenuo difensore dei valori che la Chiesa considera fondamentali. Altra cosa e’ asserire – come si avventura a fare Lawler e come vorrebbero gli ambienti cattolici conservatori “militanti” - che il Papa abbia ingaggiato un vero e proprio «scontro ideologico» con il pensiero moderno (specie se laico e progressista): uno scontro nella civilta’ (occidentale) prima ancora di uno scontro tra le civilta’.
Da parte sua Michael Novak, nel dirsi convinto che il Santo Padre portera’ a compimento una riforma anche piu’ «radicale» della Chiesa rispetto a quella operata da Giovanni Paolo II (molto impegnato nella proiezione universale del messaggio cristiano), fondata piu’ sulla spiritualita’ che sulla revisione delle strutture, invita a uscire dallo stereotipo del «Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede» divenuto Papa, sottolineando la discontinuita’ tra i due ruoli e le due fasi di Ratzinger. Novak ricorda, al riguardo, che il Cardinale Ratzinger ha coltivato una seria ed articolata dottrina della liberta’ matura e «disciplinata» (lontana dal soggettivismo) nel solco della tradizione del pensiero di Tocqueville, Madison, Lord Acton. Inoltre, mentre Giovanni Paolo II avrebbe concentrato la sua attenzione sulla degenerazione della politica e sul flagello degli autoritarismi e collettivismi, Benedetto XVI – nella lettura di Novak – considererebbe invece la cultura moderna come terreno privilegiato della sua missione. Quest’opinione e’ stata condivisa – ma in un’accezione decisamente piu’ “polemica” - anche dallo stesso Weigel, che sostiene che il nuovo Pontefice sarebbe persuaso che la grande battaglia in corso nel mondo sia soprattutto una battaglia di idee e per le idee.
Quanto allo scenario internazionale, un tema complesso, visto dall’America, riguarda il modo in cui il santo Padre sta interpretando l’universalita’ della Chiesa. Gli accenti posti da diversi commentatori sul suo supposto “eurocentrismo” (sia in termini di provenienza culturale che in quelli di propositi missionari per una ri-evangelizzazione del Vecchio Continente, come sembrerebbe programmaticamente indicare – secondo alcuni commentatori americani - il nome prescelto, piu’ legato alla riforma benedettina che al Pontificato di Benedetto XV) rivelano tra le righe una certa curiosita’ intellettuale per la posizione che l’America assume nella nuova «mappa» della Chiesa cattolica. Inoltre si richiamano le posizioni del Cardinale Ratzinger (per la verita’ espresse a titolo personale) sostanzialmente contrarie all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea (invece fortemente incoraggiato da Washington). Il contesto e’ tuttavia radicalmente mutato dopo la straordinaria visita di Papa Benedetto XVI proprio in Turchia. E’ comunque un tema, questo, che ripropone il piu’ ampio problema del rapporto con il mondo islamico, divenuto di importanza strategica per gli Stati Uniti e per tutto il mondo occidentale dopo l’11 settembre, sia in termini di «Global War on Terrorism» che con riferimento al lancio dell’iniziativa (sostanzialmente fallimentare) per la democratizzazione dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.
In sintesi, gran parte degli intellettuali americani che si sono esposti con commenti sul Pontificato di Papa Benedetto XVI hanno supposto di essere in grado di prospettare la direzione di marcia del suo Pontificato sulla base del percorso intellettuale e teologico del Cardinale Ratzinger. Molti di essi pensavano – e forse tuttora lo pensano - che le fattezze del Pontificato di Papa Benedetto XVI sarebbe state funzionali alle immediate, riduttive e strumentali priorita’ americane.