"Integrazione proiettiva" e "responsabilità equivalente"


Le nuove dimensioni del rapporto tra Europa e America Latina

Il dibattito politico-culturale sulla affinità tra Europa e America Latina e sulle potenzialità del rapporto tra le due regioni si è a lungo polarizzato tra i due estremi di una rappresentazione dell’America Latina come «estremo Occidente» oppure, in termini alternativi se non oppositivi, come «altro Occidente». Entrambi gli approcci appaiono fortemente condizionati da una visione eurocentrica, che definisce l’«altro» commisurandolo al «sé». L’America Latina è un contesto geo-politico e culturale con una propria originale identità, che non può essere svilita ad una replica o, all’opposto, ad una negazione della cultura occidentale dominante.
Se non si tiene conto di questa strutturale originalità, che è venuta consolidandosi a partire dall’epopea indipendentista ma che non può essere vista in netta discontinuità con l’eredità pre-colombiana, non si comprende appieno la svolta storica dinanzi alla quale si trova oggi il continente nel contesto globale.
Inoltre, occorre chiedersi se abbia davvero senso parlare di «America Latina» come di uno spazio unitario di derivazione bolivariana oppure se non sia il caso di riferirsi alle diverse «americhe latine». A differenza degli anni Novanta, quando, nonostante i diversi livelli di sviluppo, il subcontinente risultava sostanzialmente omogeneo dal punto di vista politico e delle politiche economiche, è infatti innegabile che vi sia oggi una crescente diversità dal punto di vista ideologico, politico ed economico tra i paesi dell’America Latina (con un’oscillazione tra la governance istituzionale e l’appello diretto alle masse tipico del populismo). Parallelamente, si è assistito ad un revival di fenomeni di nazionalismo e di riaffermazione della sovranità nazionale, in contrasto con le continue sollecitazioni ed iniziative per conseguire un’integrazione a livello regionale e subregionale.
Tale eterogeneità si traduce innanzitutto in una sorta di “microfisica del conflitto”, ovverosia un’acutizzazione della litigiosità tra paesi vicini e non solo (Venezuela e Colombia, Ecuador e Colombia, Argentina e Uruguay, Venezuela e Perù, Cile e Perù, Perù e Bolivia), fenomeno che spiega in parte anche l’aumento del 91% delle spese militari nel subcontinente americano durante gli ultimi quattro anni (anche se Stati Uniti e Europa non hanno proprio nulla da insegnare all’American Latina in fatto di spese militari, che continuano allegramente a lievitare nonostante la crisi economica abbia duramente colpito quasi tutti gli altri settori produttivi). Si tratta di confronti spesso collegati a vecchie e nuove dispute territoriali, o talvolta a conflitti ideologici più ampi (come quello che contrappone il Venezuela alla Colombia, presa di mira ritenuta caricaturalmente da Caracas quale “succedaneo” degli Stati Uniti, anche se al di là del folklore si palesa un più serio confronto simbolico tra concezioni neobolivariane e l‘idea olistica ed egemonica nord-americana di «emisfero occidentale»).
Per alcuni osservatori attenti, tuttavia, l’assenza di cooperazione tra i paesi latinoamericani sarebbe solo apparente. La nascita di numerose entità subregionali fortemente eterogenee non sarebbe che il segnale di un nuovo ciclo di integrazione regionale (estraneo dunque ad ogni spill over di europea memoria), caratterizzato da nuove agende di integrazione «post-liberali» che danno speciale enfasi a dimensione politica, sicurezza, difesa, coordinamento delle politiche energetiche e infrastrutturali e in generale a tematiche svincolate da quelle strettamente commerciali. Inoltre si starebbe affermando una cooperazione regionale che avanza grazie alla nascita di imprese «multilatine» e all’attuazione di progetti finanziari e infrastrutturali regionali.
L’Unione Europea, con un certo rassegnato realismo, ha mostrato negli ultimi anni, dinanzi alle divergenze continentali, di affiancare al tradizionale obiettivo di promuovere l’integrazione regionale (che rientra nell’ambiziosa prospettiva, annunciata in occasione del primo Vertice UE-LAC di Rio del 1999, di addivenire ad una “Partnership Strategica bi-regionale”) una pragmatica “bilateralizzazione” dei rapporti con i principali Paesi del continente. Dopo aver inutilmente tentato, infatti, di privilegiare il dialogo con i diversi raggruppamenti di paesi del Continente americano (Mercosur, Comunità andina), anche l’Unione Europea si è indirizzata verso un «bilateralismo selettivo», stabilendo anche in questo caso rapporti privilegiati innanzitutto con il Brasile e poi con il Messico (che appaiono, nel contesto regionale, come i «grandi attrattori» di iniziative e intese internazionali).
Al contempo, e grazie soprattutto all’attivismo di alcuni suoi Paesi, l’America Latina sta conoscendo un periodo di relativa espansione nello scenario mondiale. Il nuovo foro globale per le questioni economiche e finanziarie, il G20, vede la presenza di tre paesi latinoamericani (Argentina, Brasile, Messico). A differenza delle crisi economiche e finanziarie e mondiali degli ultimi trent’anni, che hanno sempre avuto i paesi dell’America Latina tra le principali vittime, la crisi corrente ha colpito il subcontinente solo a scoppio ritardato e la ripresa vi sta giungendo prima che altrove. Secondo le stime del FMI, alla fine del 2010 l’America Latina potrebbe far registrare un tasso di crescita del 3%, con picchi del 5% per il Brasile e del 4% per il Cile. Inoltre, se parlasse con una sola voce, l’America Latina potrebbe vantarsi di detenere un terzo del PIL degli Stati Uniti, il 40% dell’acqua potabile del mondo, la maggiore concentrazione di biodiversità nel mondo.
Nell’ambito della cooperazione tra aree emergenti, il ruolo più rilevante è svolto oggi dalla Cina, la cui presenza nel Subcontinente si è sviluppata molto velocemente negli ultimi anni, facendo di Pechino il secondo principale partner economico dopo gli Stati Uniti. Emblematicamente, il Governo cinese ha pubblicato per la prima volta nel 2008 un policy paper sull’America Latina. Oltre a diventare di recente il 48esimo membro della Banca Inter-Americana di Sviluppo, la Cina ha inoltre firmato una serie di accordi con vari paesi latinoamericani, in primis Brasile, Argentina, Venezuela.
La ridefinizione degli scenari globali impone dunque, sia all’Europa che all’American Latina, che non si possa vivere di rendita, confidando solo su fattori tradizionali e le affinità storiche e culturali. Se e’ vero che il nuovo contesto non produce un azzeramento dell’accumulazione del patrimonio politico tra l’Europa e l’America Latina, è anche vero che tale retaggio, se non «coltivato» e rilanciato su basi totalmente rinnovate, rischia di avvizzire e di restare un elemento nostalgico o di generica simpatia. E’ invece un rapporto che deve essere ripensato come una partnership strategica, fondata sulla comune consapevolezza dell’imprescindibilità di un’azione comune nel far fronte alle grandi sfide transnazionali.
Sarebbe tuttavia errato indicare oggi l’Unione Europea come modello «virtuoso» d’integrazione. E’ innegabile che, a differenza dei paesi europei, quelli latinoamericani dispongono (salvo nel caso del Brasile) di uno strumento di integrazione eccezionale, la lingua, vettore di un idem sentire. Ciononostante, i tentativi di esportazione della teoria funzionalista - evidenti nella creazione del Mercosur, le cui strutture si ispirano chiaramente a quelle europee - non hanno sinora prodotto risultati sostanziali e comunque gli effetti sono assai limitati.
L’America Latina potrebbe percorrere una strada diversa all’integrazione, in un certo senso invertendo i caratteri e le fasi dell’integrazione europea. L’Unione Europea si è costruita con una particolare «cura di sé», dando vita a politiche integrative come la politica agricola comune, il Mercato Interno, la Moneta Unica, la libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi. L’America Latina potrebbe scegliere di costruirsi attraverso la «cura del mondo», vale a dire la disponibilità ad assumere un ruolo centrale nella cosiddetta «governance globale». Mentre il processo europeo può essere descritto come una «integrazione introiettiva», l’America Latina potrebbe esplorare le nuove dimensioni della «integrazione proiettiva», vale a dire scoprire le ragioni profonde dell’unità del subcontinente attraverso l’apertura ad altre regioni del mondo e a politiche di cooperazione internazionale a tutto campo.
In ogni caso, nel perseguire un rilancio della cooperazione tra l’Europa e l’America Latina, l’approccio dovrebbe comunque essere basato sulla «responsabilità equivalente». La crescente autonomia dei paesi latinoamericani nella gestione delle problematiche strutturali (endogene ed esogene) e il ruolo sempre più rilevante di alcuni di loro quali attori emergenti nello scenario mondiale dovrebbero consentire di superare la logica degli impegni asimmetrici, per avviare relazioni «di qualità», fondate su una solida ed attualizzata piattaforma politico-strategica e sulla comune assunzione di responsabilità rispetto alle criticità globali.
(ringrazio Valeria Biagiotti per la collaborazione)