L'Iran dopo il voto

Oscillano tra il realismo ed il pessimismo i commenti degli esperti sui risultati delle elezioni presidenziali iraniane. Riporto alcune interviste che mi sembrano esemplificative degli orientamenti prevalenti degli analisti. C’e’ un punto che non condivido assolutamente tra quelli sollevati nel campo dei “pessimisti”, e cioe’ l’affrettata conclusione che il “vero” sconfitto sarebbe Obama, che si e’ fatto promotore di un’offerta di dialogo ad ampio raggio con Teheran. L’argomento “a contrario” e’ facilmente dato dalla costatazione che la politica dell’isolamento finora perseguita (specie nel corso dei due mandati di Bush) non ha prodotto alcun risultato significativo, sai dal punto di vista di quanti auspicano un “regime change” (o almeno un “change of regime”, vale a dire il cambiamento dei comportamenti di Teheran su vari scacchieri e scenari, ovviamente in senso piu’ costrutivo e meno come “troublemaker” interessato a perpetuare l’instabilita’), che da quello di progressi nel negoziato sul programma nucleare iraniano e sulle sue possibili implicazioni militari, che sarebbero nefaste per l’intera regione e addirittura per gli assetti mondiali, perche’ aprirebbero una serissima crepa nel contesto della non proliferazione nucleare, gia’ oggi abbastanza screditata per ragioni di efficacia e di credibilita’ dei principali propugnatori, che dovrebbero cominciare col dare l’esempio secondo l’idea di Obama di un mondo senza armi nucleari, principio che non ammette eccezioni di sorta. Quale sarebbe l’alternativa alla linea diplomatica, sia pure corredata da “sanzioni”? La parola guerra o intevento militare e’ ricircolata pericolosamente ed irresponsabilmente in queste ore. Think it twice, please. Talvolta la politica dell’isolamento, se non accompagnata da una solida e praticabile linea negoziale, puo' produrre “effetti inintenzionali”, finisce cioe’ per rafforzare all’interno i regimi che invece si intende indebolire sul piano internazionale. Non credo tuttavia che questo schema possa applicarsi direttamente alla "vittoria" di Ahmadinejad; permane tuttavia la necessita' di adottare, verso l'Iran, una politica ben articolata, declinata in modo coerente su molti versati e con grande flessibilita' ed intelligenza.

Intervista a Bijan Zarmandili su “Avvenire” (di Alberto Simoni).
«Non credo che il secondo mandato diAhmadinejad sarà una fotocopia dei primi quattro anni. Finora è stato speculare a Bush, fermezza e intransigenza. Oggi invece si relaziona a un`America diversa e all`apertura dell`Amministrazione di Barack Obama. E inevitabilmente questo innescherà un dibattito all`interno della leadership iraniana». Bijan Zarmandili, scrittore e analista di questioni iraniane, non si iscrive alla lista dei pessimisti, di quanti considerano una iattura per gli squilibri regionali e internazionali la riconferma di Mahmud Ahmadinejad. «Sono scettico nel considerare Ahmadinejad un motore del cambiamento - dice ad Avvenire - ma la politica deve essere giudicata non in base a quanto accaduto negli ultimi anni, ma anche pensando alla sua evoluzione, all`intervento di fattori imprevedibili».
Zarmandili, quali «imprevisti» potranno guidare le sue mosse sulla scena internazionale?
La sua politica estera sarà meno rigida poiché le condizioni sono mutate. Ahmadinejad deve tener conto che gli Stati Uniti hanno accettato l`idea che l`Iran possa diventare una potenza nucleare. Il problema per Washington è che il nucleare non sfoci in armamenti. C`è poi un secondo fattore: il 21 marzo, capodanno persiano, Obama si è rivolto per la prima volta alla leadership iraniana riconoscendone l`autorità. Significa che gli Usa hanno messo da parte i sogni di cambio di regime. Ora il vero interrogativo è: quale assetto geopolitico avrà il Medio Oriente quando Usa e Iran arriveranno al dialogo?
Per ora però non siamo vicini a questo scenario. Ed Egitto e Arabia Saudita, i due alleati degli americani nella regione, sono in fibrillazione...
Per Riad e Il Cairo la situazione è complessa. I nodi non sono però solo l`apertura agli Usa e il «sì» al nucleare. Un Iran potenza regionale e centrale nello scacchiere mediorientale, significa anche una conflittualità fra sciiti e sunniti.
Poi c`è l`inghippo Israele. Chi lo spiega a Gerusalemme che si può dialogare con chi predica la sua distruzione?
La grande impresa è convincere Israele che un`alleanza anche con Teheran non è uno svantaggio per nessuno.
Impresa fattibile?
America e Stato ebraico oggi hanno diversi dossier spinosi. Non solo il nucleare. Ma sarebbe sbagliato focalizzarsi solo su alcuni temi. La strada d`uscita passa per Damasco.
Ma i siriani si sono detti contenti dell`affermazione di Ahmadinejad. Che spazi di manovra vede?
Se Israele e Siria rilanciano i negoziati e discutono sulle Alture del Golan e su altri temi cruciali come Hezbollah, l`Iran potrebbe perdere un alleato prezioso. Siamo in una situazione difficile, ma anche estremamente mobile.
Cosa inciderà ancora sulla politica estera di Ahmadinejad?
La situazione interna. Il presidente iraniano si avvia verso un modello cinese, con tutte le dovute proporzioni. Ovvero forte repressione interna e disponibilità al dialogo fuori dai confini.
Perché?
Affronta una vivacissima società civile che anima il blocco riformista, ma che è priva di leadership. Ahmadinejad dovrà mediare invece con il fronte conservatore dove è forte lo scontro con i rappresentanti della «teocrazia classica», come Larijani e Rafsanjani, un pragmatico. E questo giocoforza influenzerà e mitigherà la sua politica estera.

Intervista a Nicola Pedde, direttore del Global Research Institute, sull’”Unita’” (di Gabriel Bertinetto).
L`opposizione non accetta il risultato e denuncia brogli. Un`ipotesi plausibile secondo lei, professore?
«Sembra difficile spiegare in quel modo tutti i 10 milioni di voti che separano Mousavi da Ahmadinejad. Certo lo shock per un risultato così sbilanciato a favore del capo di Stato uscente è forte anche in Occidente, dove si tifava per Mousavi e dove spesso si ragiona secondo metri di valutazione che non si adattano alla realtà dell`Iran. Ammesso che l`esito delle elezioni sia quello che conosciamo dalle prime notizie ufficiali, la prima riflessione che bisogna fare riguarda la forte diversità del voto urbano rispetto a quello rurale, e dei ceti medi istruiti rispetto al resto della popolazione. Si ha anche l`impressione di una compatta adesione al campo presidenziale da parte degli apparati di sicurezza e dei Pasdaran in particolare. Questi ultimi non sono solo una struttura militare, ma una forza politica ed economica. Dai loro ranghi in passato nacque il movimento riformatore. Ora sono spostati sul campo degli ultraconservatori perché evidentemente ritengono sia quella la via migliore per una transizione politica che li porti a poco a poco ad essere sempre più capillarmente presenti nelle strutture di potere».
I rivoluzionari laici prendono il posto dei clero sciita ai vertici dello Stato?
«Distinguiamo in primo luogo all`interno del clero, fra coloro che si limitano al loro ruolo strettamente religioso e coloro che hanno fatto la rivoluzione, il cosiddetto clero combattente. Questi ultimi hanno avuto ed hanno molto potere, ma nelle strutture di comando diventano sempre più minoritari, mentre si estende la presenza dei Pasdaran ovunque nei centri di potere. Un ex-generale dei Pasdaran, Mohsen Rezaie, si è candidato contro Ahmadinejad. Ma il grosso dei Pasdaran sembra essersi pragmaticamente schierato con colui che è poi risultato il vincitore, ritenendo che la stagione del riformismo in Iran sia stata solo una perdita di tempo».
Come spiega il fatto che la cattiva gestione dell`economia imputata ad Ahmadinejad dai suoi avversari non gli abbia alienato le simpatie di molti che potevano ritenersi delusi per la promesse non mantenute?
«Ahmadinejad ha investito molto denaro in vista delle elezioni, distribuendo sussidi statali sotto forma di sostegno alle famiglie ed ai lavoratori. In un`economia disastrata come quella iraniana, ciò potrà provocare contraccolpi negativi in seguito. Ma al momento può avergli recuperato consensi. L`iraniano medio purtroppo non sa che farsene della democrazia e della libertà. Del resto nessun candidato ha insistito molto sui diritti umani e civili».
A questo punto che ne sarà del dialogo proposto da Obama?
«Gli Usa devono andare avanti con le aperture, tenendo conto del risultato. L`interlocutore è chi governa. Sarebbe un errore fare marcia indietro».

Intervista a Karim Sadjadpour, del Carnegie Endowment for International Peace di Washington, sul “Corriere della sera”(di Alix Van Buren)
«Un attacco militare da parte d`Israele contro l`Iran ora è più possibile che mai. A Teheran il re è nudo: il monumentale imbroglio elettorale fa uscire dall`ombra la Guida suprema Ali Khamenei. E lui a manovrare il potere. Ma il regime scricchiola, scosso da fratture interne senza precedenti. Il marciume è venuto a galla».
E adesso, come risponderà il presidente americano Obama? Riconoscere la vittoria di Ahmadinejad, malgrado le denunce di brogli?
«Adesso bisogna aspettare che la polvere si posi, capire che cosa farà Moussavi, se cioè chiederà l`annullamento del voto. In queste ore lui sta trattando con Khamenei. Ma è importante ricordare che Moussavi, benchè vesta i panni del riformista, è parte integrante della Rivoluzione islamica. La storia insegna che nessuno nei suoi ranghi ha acceso micce capaci di fare esplodere il sistema. In più, le Guardie Rivoluzionarie sono maestre nell`intralciare le proteste popolari: con il bando degli sms, degli strumenti di mobilitazione di Moussavi, il movimento riformista è zoppo, muto e cieco».
Dunque Washington si rassegna a un nuovo mandato di Ahmadinejad?
«Piuttosto, ora si deve trattare direttamente con Khamenei. Per troppo tempo la Guida suprema è rimasta nell`ombra. Manovrando il risultato del voto, si è esposta. Khamenei è nudo: è lui l`ostacolo neldialogo con l`Occidente, il responsabile della crisi economica edell`isolamento politico dell`Iran. Deve assumerse il peso. Ahmadinejad è solo un facile bersaglio».
E la fine del dialogo proposto da Obama?
«Cambierà il tono, ma non la sostanza. Sarà un dialogo freddo, come con l`Urss. Però non c`è scelta: con l`Iran bisogna trattare. Piaccia o no, i dossier più aspri - l`Afghanistan, l`Iraq, il conflitto israelo-arabo, il terrorismo, la proliferazione nucleare - non troveranno soluzione senza l`accordo con Teheran.
Si riaffaccia la prospettiva di una soluzione militare?
«Se verrà riconfermato Ahmadinejad, quel rischio aumenta in misura esponenziale. Si aprirebbe un pessimo scenario».