Obama: la doppia chiave del discorso del Cairo

C’è una doppia chiave di lettura dell’intervento di Obama al Cairo. La prima, di carattere più ampio, riguarda il tema dello "scontro di civiltà". Su questo punto, qui basti osservare che il Presidente americano ha modificato radicalmente in pochi mesi – certo non solo con un discorso - la difficile eredità di sospetto e di risentimento lasciata in questo ambito dalla precedente Amministrazione, che aveva adottato una politica centrata sul tema controverso della “esportazione” della democrazia e su una visione monolitica dell’Islam in termini di contrapposizione all’"occidente" (si tratta in se' di un'espressione generalizzante, impropria e semanticamente errata: da una parte una religione, dall'altra un'area geopolitica; esiste anche un Islam nell'Occidente, e comunque quest'ultima "regione" non e' culturalmente e religiosamente monolitica, come non lo e' "l'Islam"). Il nuovo atteggiamento di Obama e’ dunque un toccasana per la percezione degli Stati Uniti nel mondo islamico, precipitata negli ultimi anni al minimo storico. Tuttavia Obama –ed è questa la seconda chiave di lettura – non intende essere confinato nella retorica, e pertanto nello stesso discorso ha compiuto alcune aperture molto concrete, che configurano importanti cambiamenti nella politica mediorientale in senso lato della nuova Amministrazione americana. E il nuovo Presidente ha voluto affrontare proprio i temi piu’ spinosi, in particolare le iniziative militari ed i comportamenti dell’America a seguito dell’11 settembre. In primo luogo, la difficile situazione dell’Afghanistan e piu’ in generale dell’intera regione centro-asiatica. Ha detto con grande nettezza che gli Stati Uniti non intendono rimanere in Afghanistan, dove comunque sono andati in virtu’ di un'autorizzazione delle Nazioni Unite, e sopratuttto non hanno in programma l’apertura di basi militari dalle quali potrebbero controllare l’area. In effetti, proprio la presenza di basi americane in diversi Paesi della regione, come ad esempio nella penisola arabica, e’ stato uno dei pretesti del terrorismo di stampo islamista. Sempre su questo tema, Obama ha detto con chiarezza che per l’Afghanistan (ed ora anche per le regioni frontaliere del Pakistan) non c’e’ una soluzione militare. In secondo luogo, Obama ha messo in luce che ben diversa e’ stata la natura dell’intervento militare americano in Iraq, compiuto in virtu’ di una deliberata scelta unilaterale ("war of choice" invece che "war of necessity", come ha scritto l'esperto di relazioni internazionali Richard N. Haass) che ha messo gli Stati Uniti in contrasto con buona parte della comunita’ internazionale e aperto una vera e propria voragine con il mondo islamico. Tuttavia, in questo momento gli Stati Uniti hanno due connesse ed ineludibili responsabilita’: da un lato, aiutare l’Iraq a costruirsi un nuovo futuro; dall’altro, lasciare l’Iraq agli Iracheni. Obama ha ribadito la rischiosa “scommessa” fatta sin dalla campagna elettorale: far arretrare le truppe americane dalle principali citta’ irachene entro la fine di luglio del 2009; far rientrare tutte le truppe americane dall’Iraq entro il 2012. Questo per il passato. Ma Obama ha anche precisato quale sara’ la sua agenda costruttiva. Il tema piu’ complesso e’ quello del conflitto israelo-palestinese, usato spesso come prestesto dalle organizzazioni islamiste per le loro campagne di terrore. Obama ha ovviamente difeso senza mezzi termini il diritto incondizionato all’esistenza di Israele, ma con la stessa forza ha riaffermato il diritto all’esistenza dello Stato palestinese. Ed ha inoltre compiuto un'inequivocabile stigmatizzazione degli insediamenti illegali israeliani. Sono posizioni che hanno messo sotto pressione il nuovo governo israeliano di Netanyahu e di Lieberman, che pareva aver messo in dubbio la stessa possibilita’ della nascita di uno stato palestinese. Tanto da indurlo a una prima timida e del tutto insufficiente apertura: che "stato" sarebbe infatti una Palestina - lasciando da parte la questione della "smilitarizzazione", che forse avrebbe senso nel contesto di un "patto di stabilita'" o di un accordo per la pace e la cooperazione internazionalmente garantito, sul modello "europeo" della CSCE, e che coinvolgesse tutti i principali attori, compreso Israele - senza la possibilita' di poter "condividere" Gerusalemme, senza alcun diritto al ritorno per i profughi sparsi nella regione e senza smantellamento degli insediamenti illegali? Obama comunque ha aggiunto di voler avanzare con cautela per la soluzione di questo nodo strategico, “con tutta la pazienza” che tale obiettivo richiede. Infine, la questione del programma nucleare iraniano. Obama e’ stato al contempo fermissimo contro la prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari, e tuttavia ha ammesso che l’Iran, sotto precise garanzie e nel rispetto del Trattato per la non proliferazione nucleare, ha il diritto di sviluppare un programma nucleare civile per produrre energia. Ma ha anche aggiunto che l’obiettivo deve essere quello di un mondo privo di armi nucleari; e tale principio si deve applicare anche al Medio Oriente, ed a tutti i Paesi che vi si trovano, senza distinzioni o eccezioni. Come dire che enunciare principi non basta; occorre anche essere credibili nei fatti.