"Ensuring peace and security in Africa: implementing the new Africa-EU partnership and developing co-operation in de-mining and disarmament" e' il titolo di un convegno che ha avuto luogo al Ministero degli Esteri il 7-8-9 ottobre 2009. L'evento e' stato organizzato in dal Ministero degli Esteri, dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), insieme alla Commissione Europea e all’Unione Africana (UA). I lavori, aperti dal Ministro Franco Frattini, sono proseguiti con gli interventi di Romano Prodi, Presidente del comitato Onu/Ua sulle azioni di peacekeeping, e di rappresentanti delle istituzioni e UA, mentre la discussione e' stata moderata dal Vice-Presidente vicario dello IAI, Gianni Bonvicini. Il convegno al quale hanno collaborato la Compagnia di San Paolo, l’Istituto dell’UE per gli Studi sulla sicurezza (EU-Iss), Chatham House, e il Centro di ricerca e di formazione sullo Stato in Africa (Crea), costituisce il lancio e la prima fase di un progetto di ricerca, destinato a fornire un contributo, sia in termini di analisi accademica, sia di proposte operative, alla realizzazione di una collaborazione Unione-Europea-Africa, nel campo della pace e della sicurezza. Le ulteriori fasi del progetto prevedono due seminari di esperti. Il primo, agli inizi del prossimo anno, presso l’EUISS di Parigi, (finanziamento e supporto delle strutture africane di pace e sicurezza), e il secondo, a giugno/luglio 2010, presso Chatham House a Londra (processi decisionali negli Stati africani e nelle organizzazioni regionali). La terza fase, conclusiva, sarà centrata su un seminario da tenersi in Africa per presentare i risultati della ricerca. I lavori della Conferenza si sono articolati in tre sessioni dedicate rispettivamente all’attuazione della nuova strategia congiunta EU-Africa; alle missioni di peace keeping/peace building dell’Unione Europea e di quella Africana; al coordinamento dell’Unione Europea con gli altri donatori internazionali nel sostenere gli sforzi africani in tema di pace e sicurezza. A margine si e' svolto un seminario di esperti sui temi dello sminamento e del controllo delle armi leggere. L'Istituto Affari Internazionali ha fatto la seguente sintesi dei lavori:
Coinvolgere la società civile africana nella ricerca della sicurezza e nella ricostruzione ed evitare sovrapposizioni nelle cooperazioni euro-africana e fra Paesi africani: sono le direttrici del progetto di studio internazionale per la pace in Africa che prende l’avvio da un convegno svoltosi per tre giorni alla Farnesina. La ricerca, guidata dallo IAI, l’Istituto Affari Internazionali di Roma, durerà un anno: obiettivo è capire come rendere concrete la volontà d’azione per la sicurezza e la ricostruzione dell’Unione africana (Ua), e l’assunzione di responsabilità dell’Unione europea (Ue), nella consapevolezza che le difficoltà dell’impresa - logistiche, militari, finanziarie, sociali, politiche - richiedono un forte coordinamento e soprattutto una volontà di realizzazione degli impegni assunti dagli organismi internazionali, Onu, G8 e Ue. Al termine dei lavori, il vice-presidente vicario dello IAI, Gianni Bonvicini, organizzatore del convegno, ha indicato che la ricerca si articolerà lungo tre temi e si svilupperà in seminari a Parigi e a Londra, mentre le conclusioni saranno affidate a una conferenza in Africa. Le direttrici della ricerca guidata dallo IAI, così come delineate da Bonvicini, sono le seguenti:
1) Fare in modo che le diverse regioni economiche dell’Unione africana riducano ed evitino sovrapposizioni di competenze e competizioni, che potrebbero contrastare le prospettive di integrazione, specie sul fronte della sicurezza: la razionalizzazione è importante per fare decollare l’Ua;
2) Rendere più efficace il partenariato strategico fra Ue e Ua: le spese e l’azione per l’Africa dell’Unione europea sono note, mentre gli stanziamenti e gli interventi dei singoli Stati, pur sovente utili, sono meno noti. Anche qui si tratta di evitare sovrapposizioni e, soprattutto, di stornare il sospetto di un perseguimento degli interessi nazionali;
3) Organizzare e fare partecipare la società civile africana ai progetti di sicurezza e ricostruzione, perché le azioni non rispondano solo a priorità dei governi ma anche dei cittadini: senza sicurezza, anche gli aiuti allo sviluppo rischiano di finire in un buco nero di sprechi e corruzione. “Si tratta – sintetizza Bonvicini - di spiegare agli africani che cosa abbiamo fatto di buono nell’Unione europea e di renderli partecipi, facendo loro capire che la sicurezza può essere, anche in Africa, un motore dell’integrazione, come lo è stata in Europa”.Il convegno di Roma, organizzato dal Ministero degli Esteri italiano e dallo IAI, con la Commissione europea e l’Unione africana, era centrato sul tema “garantire la pace e la sicurezza in Africa” e mirava proprio a iniziare un approfondimento su come attuare la nuova partnership tra Europa e Africa e su come sviluppare in particolare la cooperazione nei settori dello sminamento e del disarmo. Al simposio hanno collaborato la Compagnia di San Paolo, l’Istituto dell’Ue per gli studi sulla sicurezza (EU Iss), Chatham House e il Centro di ricerca e di formazione sullo Stato in Africa (Crea). Nella sessione d’apertura, il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva insistito sulla necessità di “un nuovo patto” tra Europa e Africa “per la sicurezza e la stabilità”. E Romano Prodi, presidente del comitato Onu/Ua sulle azioni di peacekeeping, aveva sottolineato l’esigenza di passare, nei rapporti con l’Africa, dalla fase del bilateralismo a quella del multilateralismo. Dopo il dibattito d’apertura sul dialogo politico e la cooperazione inter-istituzionale tra l’Ue e l’Ua, con Frattini, Prodi e rappresentanti di alto rango delle istituzioni Ue e Ua, i lavori sono proseguiti con sessioni e tavole rotonde su temi specifici, fino alle conclusioni odierne, affidate a Bonvicini. Sono ormai anni che l’Africa è al centro dell’attenzione della comunità internazionale: Onu, Ue, G8, agenzie specializzate come la Banca Mondiale e l’Fmi. E il convegno di Roma s’è svolto mentre in Vaticano è in corso il secondo Sinodo Africano, che Papa Benedetto XVI ha voluto centrato sul tema ‘La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace’.L’Italia ha dedicato sforzi e iniziative per sostenere un sempre maggiore ruolo dell’Unione europea in Africa, un impegno che è stato ribadito al G8 dell’Aquila e che vede il nostro paese capofila nelle azioni di training del personale africano sul modello dei nostri carabinieri Per aiutare l’Unione africana ad affrontare e risolvere i conflitti che continuano a svilupparsi (Guinea Bissau, Somalia, Darfur, ex Zaire, nonché il terrorismo e la pirateria marittima), l’Unione europea e l’organizzazione africana hanno varato nel 2007 a Lisbona un partenariato congiunto euro-africano: l’Ue dà un forte sostegno finanziario, di supporto logistico e di training alle forze di polizia e militari africane, affinché possano concretamente attuare il principio delle “soluzioni africane ai problemi africani”. E con l’entrata in vigore imminente del nuovo Trattato, l’Ue sarà meglio attrezzata per fare fronte a queste sue responsabilità.
Su questi importanti temi ho condiviso quanto scritto da Romano Prodi (che ho salutato in occasione del Convegno, come si vede dalla foto) in un recente articolo (L’Africa ha dignità politica. Il mondo lo riconosca,"Il Messaggero", 20 settembre 2009)
Si discute tanto e si fa tanto poco per l’Africa. Il grande “continente nero” continua infatti ad essere oggetto e non soggetto della politica mondiale. Quando nascono conflitti così tragici da contare i morti a centinaia di migliaia come in Ruanda, Sudan o Somalia l’opinione pubblica si commuove e per un po’ di tempo si mobilita. Poi tutto viene dimenticato, lasciando alle poche migliaia di soldati delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana l’impari compito di gestire le sanguinose conseguenze di queste guerre, così come alle associazioni non governative e ai missionari di fare fronte alla tragedia quotidiana dei più diseredati. Intanto le vendette e gli assassini continuano senza sosta e senza nemmeno avere l’onore della cronaca. Ormai le guerre africane non sono guerre tra Stati, ma fra etnie, gruppi tribali o semplicemente per bande armate che si schierano ora con i governi ora contro i governi. È una storia infinita, che da decenni vede i conflitti diffondersi da Paese a Paese attraversando i confini artificiali tracciati in passato dalle potenze coloniali senza tener conto di etnie, religioni, caratteristiche geografiche e risorse naturali. In questo quadro ogni grande potenza adotta una sua “politica africana” costruendo rapporti bilaterali con i Paesi a lei legati: la Francia con i Paesi francofoni, la Gran Bretagna con quelli anglofoni, gli Stati Uniti soprattutto con i Paesi petroliferi del West Africa, mentre la Cina adotta una politica veramente continentale, curando relazioni intense con la quasi totalità dei Paesi africani, cioè cinquanta su cinquantatré. Il tutto in una logica prevalentemente bilaterale cioè da Paese a Paese. Il che significa, dal punto di vista economico, impedire ogni possibilità di sviluppo futuro di tutti i Paesi africani che, da soli, non raggiungeranno mai la forza e le economie di scala per costruire strutture capaci di competere con il resto del mondo. Nemmeno le più grandi nazioni del continente come l’Egitto, il Sud Africa e la Nigeria hanno la dimensione sufficiente per costruire una solida economia nazionale. Il commercio tra i Paesi dell’Africa è minimo (raggiunge solo il 10 % del loro commercio estero totale) perché mancano infrastrutture, accordi ed istituzioni che li leghino tra di loro. Dal punto di vista politico la rigorosa applicazione del concetto statuale ereditato dalle potenze coloniali impedisce di tener conto delle realtà più complesse, come le tribù, le etnie, le appartenenze religiose o i tradizionali rapporti o interessi consolidati nei secoli. Per far fronte a questo è nata l’Unione Africana che, raccogliendo tutti i 53 Stati africani (eccetto il Marocco) tenta con fatica di costruire una unità politica ed economica del continente. È un’unione imperfetta, embrionale e con poteri limitati ma è tutto ciò che il continente può preparare per organizzare il proprio futuro, anche per l’indubbia qualità di alcuni suoi leaders. Le grandi potenze sono però riluttanti a riconoscere ed aiutare questa realtà (solo la Commissione europea lo ha fatto) e non ritengono mai prioritaria la necessaria collaborazione tra i Paesi africani. Anche nel delicato settore del peace -keeping soprattutto la Francia e la Gran Bretagna sembrano fare resistenza a dotare l’Unione Africana dei mezzi e dell’assistenza necessaria perché possa progressivamente contribuire a costruire e a mantenere la pace nel continente. La motivazione di questa politica è che l’Unione Africana non è ancora pronta a svolgere questo compito. Ciò è certamente vero ma essa non sarà mai pronta se non riceve fiducia, mezzi, assistenza e aiuto per raggiungere questo obiettivo. Siamo insomma in un dilemma apparentemente senza soluzione: da un lato si deve constatare che l’Unione Africana non può, allo stato attuale, svolgere il compito di promuovere la convivenza e lo sviluppo degli Stati africani, mentre dall’altro, le tradizioni e gli interessi del passato non permettono che essa progredisca in questa direzione.In tale quadro il presidente Obama si presenta come la nuova speranza. Ha fatto discorsi splendidi sull’Africa sia al Cairo che in Ghana, ha scelto inviati speciali molto più saggi e flessibili dei precedenti come il generale Gration per il Sudan, ma non ha ancora preso alcuna decisione concreta nel segno del cambiamento. Non c’è ancora una nuova politica americana per l’Africa. Intanto la crisi economica morde l’Africa in modo ancora più violento di quanto non si prevedesse, esasperando ulteriormente le tensioni e la spinta verso l’immigrazione. Non si può continuare a biasimare la Cina per la sua eccessiva presenza in Africa (presenza che costituisce per molti aspetti un’opportunità) senza proporre, insieme alla stessa Cina, una nuova e diversa politica. Una politica che tenga conto delle diversità e degli interessi comuni, dei nuovi ruoli che debbono giocare le etnie, le tribù e le appartenenze religiose. Una politica che, nello stesso tempo, preveda un rafforzamento dei compiti e dei poteri dell’Unione Africana. Gli aiuti economici e l’assistenza umanitaria sono indispensabili, ma non bastano. Per costruire la pace e la collaborazione tra i diversi Paesi del continente africano occorrono nuovi strumenti politici.