Paura dell'Islam?


Lo spirito che anima questo libro dei coniugi Zahoor Ahmad Zargar e Renata Rusca Zargar ("Paura dell'Islam", edizioni Caravaggio) e' bene espresso dalla citazione di Gandhi in apertura e dalla novella “Melchisedech e il Saladino” riportata in chiusura nella postfazione. La citazione del Mahatma merita di essere riportata: “Io credo alle verità di tutte le grandi religioni del mondo. Non ci sarà pace durevole sulla terra fino a quando non impareremo non solo a tollerare, ma anche ad avere riguardo per le fedi diverse dalla nostra. Uno studio rispettoso dei detti dei vari maestri dell’umanità è un passo in direzione di questa stima reciproca”. La novella conclusiva, invece, fa parte del Decameron di Boccaccio, ma era già presente in una raccolta precedente di autore sconosciuto ed era probabilmente derivata da un testo arabo del XII secolo: racconta di un interrogativo molto imbarazzante posto dal Saladino ad un saggio ebreo, Melchisedech, su quale delle tre religioni, giudaica, cristiana od islamica, fosse la migliore. Il saggio si trasse fuori dall’insidiosa domanda ricorrendo con intelligenza ad una parabola ed arrivò alla conclusione che ognuna crede di essere prediletta da Dio, ma quale sia veramente la migliore lo sa solo il “Padre”. Saladino non ebbe nulla da obiettare. Gli autori sottolineano che anche oggi quello che conta è la fedeltà al proprio messaggio spirituale e non il senso di superiorità che rappresenterebbe un’implicita denigrazione dell’altro. Un obiettivo di questa pubblicazione è fornire elementi di conoscenza per comprendere ragioni antiche e recenti di una conflittualità che viene spesso esasperata da deformazioni dovute ad una storiografia, che, in entrambi i versanti, ha difficoltà ad osservare ed analizzare gli eventi in modo spassionato. Un altro obiettivo, forse ancora più importante, è l’informazione “di prima mano” sui cinque pilastri dell’Islam e sul loro significato, nonché sulla figura e sulle opere di Mohammed; sappiamo bene quanta superficialità e banalizzazione ostacoli una conoscenza effettiva ed alimenti sottovalutazioni e pregiudizi. In particolare, ad esempio, in riferimento al Paradiso si rimarca la necessità di non fossilizzarsi in una interpretazione letterale della descrizione coranica, che ha dato luogo a tanti “invidiosi” sarcasmi, dimenticando od ignorando, aggiungerei, che già nelle scritture ebraiche e cristiane l’analogia con le nozze viene spesso utilizzata per dare un’idea della felicità e della leggerezza che si verifica nell’unità con l’Eterno. Viene anche ricordato il grande apporto della cultura fiorita nel mondo islamico in campo filosofico, artistico, letterario e scientifico alla civiltà mediterranea, che ci riguarda da vicino, ma anche ad altre civiltà. Tutto questo non è noto al grande pubblico, ma spesso sfugge anche ad un pubblico più colto. Uno spazio adeguato viene riservato alla “questione della donna” nell’Islam: vengono opportunamente distinte le indicazioni del Corano da prassi etniche e tribali che sono sopravvissute in popolazioni che pure hanno assunto come via spirituale l’Islam, prassi che sono destinate a diventare residuali fino all’estinzione in un mondo ormai largamente interconnesso ed interdipendente. Si è parlato molto in questi anni di “Scontro di Civiltà”: direi che è stata un po’ la trasposizione ideologica di grandi tensioni geopolitiche, legate alla preoccupazione crescente nei paesi industrializzati per la sopravvivenza dei propri complessi sistemi economico-produttivi così legati alle fonti energetiche che sono per lo più localizzate in paesi a maggioranza musulmana. Oserei dire che questa è la “Paura Madre” che ha alimentato l’islamofobia contemporanea, proprio mentre sul piano strettamente religioso sono aumentate le aperture; infatti, anche se molta strada resta da fare, l’orizzonte del dialogo e del pluralismo religioso è irreversibile: in passato non era affatto così … Tornando alla parola chiave “Paura”, vorrei collegarmi alla considerazione che gli autori stessi fanno circa il dato della paura dell’altro come costitutivo dell’umano: riflesso difensivo che può travalicare il fisiologico e diventare distruttivo fino all’assurdo. Affermava Gandhi che la non-paura produce prima o poi non-violenza (“ahimsa”= innocenza, nel senso letterale di non nuocere). Allora vorrei dire che il compito degli “operatori” e delle “operatrici” di pace dovrebbe essere innanzitutto riconoscere e prendersi cura delle paure, soprattutto latenti, e mettere in moto dinamiche di incoraggiamento per prevenire le violenze che diventano inevitabili se “l’altro” è vissuto come una “minaccia per me”. Ne conseguirebbe, fra l’altro, ad esempio, che la risposta al razzismo non dovrebbe essere l’antirazzismo, nel quale facilmente scivola “l’impazienza progressista”, ma la facilitazione degli incontri per la conoscenza reciproca e la scoperta di quanto ci accomuna, che deriva dall’unica identità indiscutibile che è quella di esseri umani. Mi piace ricordare che “Liberi dalla paura” è anche il titolo molto significativo della raccolta di scritti del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, che con il coraggio della non violenza si batte nel suo paese, la Birmania, per l’affermazione dei diritti civili ostacolati dalla dittatura militare. Per concludere con una nota di fiducia verso il superamento delle contrapposizioni religiose e culturali, vorrei portare all’attenzione due eventi di speranza ai quali abbiamo assistito negli ultimi mesi in occasione di fatti per il resto tristissimi,cioè i tragici lutti nazionali di L’Aquila e di Viareggio: la preghiera fianco a fianco di un vescovo romano-cattolico e di un’autorità religiosa musulmana; è una traccia preziosa da seguire per consolarci e diventare amici nei dolori e nelle gioie.(Luigi De Salvia, segretario generale sezione italiana “Religions for Peace”)