Parlare con il nemico? (parte sesta)
Il tema del "negoziato con il nemico" è affrontato in modo organico da Deepak Malhotra (cf. Deepak Malhotra, Without Conditions. The Case for Negotiating With the Enemy,“Foreign Affairs”, september/october 2009), che osserva come tutto il dibattito su questo punto rappresenti in realtà un ritorno alla diplomazia. Tuttavia la questione pone dilemmi difficili da risolvere, specie nei casi in cui il «nemico» si caratterizza per l’uso sistematico e talvolta arbitrario della violenza. Nella grande maggioranza dei casi, è proprio la persistenza della violenza il motivo principale del rifiuto dei governi ad intavolare trattative. Inoltre il ricorso alla violenza nei casi in cui i negoziati siano stati attivati produce il risultato di far deragliare (ed è spesso una strategia deliberata di gruppi estremisti) proprio il processo negoziale in quanto tale. D’altra parte, l’avvio di trattative in una situazione in cui non vi sia stata ancora una rinuncia alla violenza da parte di alcune espressioni organizzate della parte avversa può contribuire ad isolare gli estremisti o comunque a ridurre il consenso di cui eventualmente godono presso una popolazione. La questione delle pre-condizioni si pone in due modi diversi: in primo luogo, esse riflettono una scelta strategica, e cioè considerare improponibile qualunque contatto senza una previa rinuncia alla violenza; in secondo luogo, le pre-condizioni possono costituire condizioni anto-imposte, come quella che prescrive di non potersi sedere al tavolo con quanti abbiano le mani grondanti di sangue. Da una parte, se si rinuncia a porre pre-condizioni nei casi in cui esse sono utili e necessarie, si rischia di compromettere la stessa efficacia dei negoziati; dall’altra, se le pre-condizioni sono mal concepite essere possono addirittura cancellare ogni prospettiva di soluzione diplomatica. Due casi in cui sono state poste pre-condizioni, quella richiesta all’«Irish Republican Army» e consistente nella deposizione delle armi in modo previo rispetto ad ogni coinvolgimento dello Sinn Féin (ala politica dell’IRA) nel processo di pace nord-irlandese e quella che Israele ha imposto ad Hamas di cessare ogni attacco contro il territorio e la popolazione israeliana prima di cominciare il negoziato con l’Autorità Nazionale Palestinese, hanno condotto ad esiti opposti. Nel primo caso, la richiesta di pre-condizioni ha funzionato, nel secondo invece ha impedito lo stesso riavvio dei negoziati. Ciò si deve, secondo Malhotra, al fatto che porre pre-condizioni occorre sempre considerare due aspetti preliminari. In primo luogo, è necessario verificare se la controparte sia o meno in grado di soddisfare alle richieste. Spesso infatti le pre-condizioni sono enunciate senza riguardo dei condizionamenti che l’avversario deve a sua volta affrontare o senza valutare i limiti dell’effettiva influenza o potere della controparte ad esempio nei riguardi di altri attori presenti nel suo campo. In secondo luogo, occorre chiedersi ragionevolmente se l’accettazione da parte dell’avversario delle pre-condizioni non finisca per pregiudicare ed indebolire sin dall’inizio la sua stessa posizione negoziale. Le pre-condizioni hanno dunque senso se e solo se rispettano questi due criteri: l’avversario è in grado di osservarle (o farle osservare da altri); il loro rispetto non compromettere in modo strutturale la capacità negoziale dell’avversario. Questo implica, in pratica, che non dovrebbero mai essere poste pre-condizioni senza una chiara comprensione della prospettiva dell’avversario e delle restrizioni che l’avversario a sua volta subisce nel suo stesso campo. Nel caso della pre-condizione auto-imposta che si fonda sul convincimento che non ci si debba mai sedere al tavolo negoziale con quanti si siano resi responsabili di fatti di sangue, ed in particolare di azioni terroristiche, essa ha la virtù della purezza e della coerenza ideologica, ma non consegue alcun risultato pratico: se tutti intorno al tavolo hanno le mani pulite, i governi hanno poche possibilità di conseguire quanto invece in molte circostante essi giustamente ritengono essere la questione fondamentale, l’oggetto stesso del negoziato: la cessazione della violenza. La tendenza a moltiplicare le pre-condizioni, dettate spesso da motivi del tutto estranei alla logica interna del negoziato, ad esempio per tener conto del tasso di approvazione dell’opinione pubblica o per non fornire argomenti di possibile critica ad avversari politici, ha portato molti approcci negoziali ad una posizione di stallo o addirittura ha impedito il nascere di qualunque seria e credibile prospettiva negoziale. Questa situazione di blocco negoziale è divenuta talmente pervasiva e prigioniera di una logica circolare, che talvolta la semplice abolizione di qualunque pre-condizione costituisce una mossa diplomatica più prespicace di ogni altro impervio esercizio di affinamento del set delle precondizioni. Non a caso Barack Obama, già in campagna elettorale aveva fatto riferimento alla disponibilità (allora generica, precoce e alquanto temeraria) a negoziare col nemico senza alcuna pre-condizione.