FEDERICO RAMPINI, “Repubblica” 1.10.2010
L'idea di uno studioso che riscrive i confini attraverso gli interessi comuni e i legami "tribali". Niente più Eurozona e Medioriente. E l'Italia fa parte delle "Repubbliche dell'Olivo"
NEW YORK - Addio illusioni di appartenere all'Eurozona, o a qualcosa di ancora più vasto come l'Occidente. Più modestamente l'Italia deve rassegnarsi a far parte delle Repubbliche dell'Olivo, per affinità storico-culturali con Grecia e Bulgaria, Macedonia e Portogallo. Mentre la Germania guida una nuova Lega anseatica che si spinge fino al Baltico. Per l'America sette anni di guerra in Iraq non sono bastati a impedire che questo paese finisca risucchiato nell'Iranistan, com'era suo destino, insieme a Libano Siria e striscia di Gaza. I Nuovi Ottomani dilagano da Istanbul fino a riprendersi l'Uzbekistan e il Turkmenistan. È questa la mappa del mondo reale, non quello immaginario costruito attraverso guerre e trattati, diplomazie e accordi tra governi. Lo colora a tinte forti un'autorità della materia. Joel Kotkin è il più celebre geografo-economista-demografo degli Stati Uniti. Ha pubblicato opere di riferimento sul ruolo delle metropoli nell'era post-moderna, e sull'impatto dell'immigrazione nel futuro dell'America. Oggi è Distinguished Presidential Fellow alla Chapman University in California. Originale, visionario, oggi Kotkin lancia molto più di una provocazione. La sua nuova mappa del mondo assomiglia alla rivoluzione del cinema 3-D. I rapporti tra le nazioni acquistano una rilievo tridimensionale, si ricongiungono con il Dna dei loro popoli. Per disegnarla Kotkin ha messo al lavoro il Legatum Institute di Londra. Con risultati sconcertanti e controversi. È ora di liberarci delle visioni convenzionali, quelle secondo cui i confini sono decisi solo dalla politica. "Nel mondo intero - sostiene Kotkin in un saggio su Newsweek - una rinascita di legami tribali sta creando nuove reti di alleanze globali, più complesse. Se una volta la diplomazia aveva l'ultima parola nel tracciare le frontiere, oggi sono la storia, la razza, la religione e la cultura a dividere l'umanità in nuovi gruppi in movimento". C'entra qualcosa il declino delle ideologie, che avevano funzionato da collante transnazionale. Ambientalisti, progressisti, liberisti: questi sono valori che possono animare le élite, ma per i popoli il concetto di "tribù" è decisamente più potente. Lo sosteneva il grande storico arabo Ibn Khaldun: "Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza". Storia antica, e sorprendentemente moderna. Torna di attualità adesso che il pianeta cerca un'identità dopo il secolo delle grandi ideologie, dei totalitarismi. Non appena finita la guerra fredda hanno iniziato a disgregarsi i blocchi tradizionali: non solo quello sovietico ma anche quello occidentale, e perfino l'idea di Terzo mondo che era nata per definire il movimento dei "non allineati". Gli economisti della Goldman Sachs oltre dieci anni fa coniarono con successo l'abbreviazione Bric, per designare le quattro potenze emergenti Brasile Russia India Cina. Ma è ovvio che quei quattro giganti hanno pochi valori in comune. Metterli nello stesso paniere è un'operazione astratta, da speculatori di Borsa, non descrive le dinamiche geopolitiche in azione. I veri confini del nuovo mondo sono altri. Tra le tendenze trainanti c'è la rinascita delle città-Stato: non solo Singapore che è davvero un'entità politica autonoma, ma anche Londra e Parigi sono "metropoli globali", i cui interessi si separano da quelli delle loro provincie. Il Nordamerica è molto più di un'espressione geografica: tra Stati Uniti e Canada non c'è soluzione di continuità nei sistemi economici, nella cultura. E poi ecco un altro fattore in comune tra Usa e Canada: è l'immensa riserva di terre arabili e di acqua, quattro volte più risorse idriche di Europa e Asia, un punto di forza nelle "guerre alimentari" del futuro. La Cina da parte sua ha già di fatto ricostituito la Terra di Mezzo come ai tempi dell'Impero celeste: Taiwan è sempre meno un'isola ribelle, viene attirata nell'orbita economica della madrepatria. La Terra di Mezzo cinese rappresenta "il più vasto insieme mondiale popolato da un ceppo etnico omogeneo, gli Han". Questo dà alla Cina e ai suoi satelliti "una straordinaria coesione" ma ne fa anche un mercato di difficile penetrazione per gli stranieri. La Grande India sta risucchiando nel suo dinamismo economico il Bangladesh e così chiude un pezzo della lacerazione post-coloniale del 1947. La Cintura del Caucciù tiene insieme nazioni del sudest asiatico che hanno ricche dotazioni di risorse naturali: dalla penisola indocinese a Indonesia, Malesia e Filippine. The Wild East, l'Oriente selvaggio che include Afganistan, Pakistan e le vicine repubbliche ex-sovietiche, "resta una posta in palio nello scontro di potere tra Cina, India, Nordamerica". La Grande Arabia spazia dal Golfo Persico fino a includere Egitto e Giordania: un'area resa compatta dal collante religioso ma per la stessa ragione "destinata a un rapporto problematico con il resto del mondo". L'Arco del Maghreb corre dall'Algeria alla Libia lungo le coste atlantico-mediterranee. L'impero sudafricano unisce paesi che hanno simili storie coloniali, dotazioni di infrastrutture migliori rispetto al resto dell'area subsahariana, e la prevalenza della religione cristiana. Anche in America latina è possibile trovare delle faglie negli orientamenti culturali che dividono due grandi famiglie. Da una parte ci sono i Liberalisti, campioni di una versione locale dell'economia di mercato e del pluralismo: dal Messico al Cile. Dall'altra le Repubbliche di Bolivar, dove i populismi in versione marxista o peronista hanno messo radici profonde: Cuba e Bolivia, Argentina e Venezuela. In mezzo a queste grandi famiglie spiccano anche gli isolati. Sono quelle nazioni che per un forte senso d'identità non possono "sciogliersi" in un'appartenenza più vasta: a titoli diversi questo è il destino del Brasile in Sudamerica, della Francia in Europa, del Giappone in Asia. Ci sono gruppi in bilico: per esempio le due Lucky Countries, nazioni fortunate, Australia e Nuova Zelanda, che hanno un Dna etnico-culturale anglosassone ma sentono l'attrazione economica dell'Asia con cui le loro economie sono complementari. L'Unione europea, vivisezionata da Kotkin e dagli esperti del Legatum Institute, ne esce letteralmente a pezzi. La Lega anseatica germanico-nordica ritrova "quel comune destino creato dal commercio" che lo storico Fernand Braudel le attribuì datandolo al XIII secolo; oggi rinasce in una proiezione globale, perché sono quelli i paesi che si sono meglio inseriti nei mercati asiatici. Le Aree di Confine sono Belgio e Repubblica Ceca, Irlanda e Paesi baltici, Polonia e Romania, più il Regno Unito senza Londra: sono paesi intrinsecamente instabili, in bilico tra zone d'influenza rivali, esposti talvolta alla disunione. In quanto alle nostre Repubbliche dell'Olivo, hanno nobili radici in comune nell'antichità greco-romana. "Ma sono nettamente distanziate dall'Europa settentrionale in ogni categoria: i tassi di povertà sono due volte più alti, la popolazione attiva dal 10% al 20% inferiore, i debiti pubblici più elevati, e i tassi di natalità più bassi del pianeta". Per quanto l'Italia possa progettare barriere per fermare i flussi migratori dalle nazioni "affini", vista da un geografo americano la sua collocazione è chiara. Non c'è verso che l'Italia possa integrarsi con una Lega anseatica proiettata a distanze stratosferiche: non solo nell'Indice di Prosperità, ma anche su altri terreni perfino più importanti per il futuro. "Istruzione e innovazione tecnologica" nell'Europa tedesco-scandinava hanno raggiunto "punte avanzate impressionanti". È un altro pianeta, i cui ambasciatori occasionalmente s'incontrano a Bruxelles. Che forse non sarà più a lungo la capitale del Belgio.