La seconda edizione del seminario internazionale (Trento, 13-14 ottobre 2010), promosso dall’Unità di Analisi del Ministero degli Esteri (da me diretta), dall’ISPI e dalla Provincia di Trento, dedicata al ruolo delle religioni nel mondo globale, ha affrontato il tema del rapporto tra "Religioni e Global Governance". Due le declinazioni della tematica: le condizioni della “human security” come concretizzazione di ogni approccio alla sicurezza internazionale e la questione dei “beni pubblici globali”. Quanto al primo aspetto, il seminario ha consentito di enfatizzare la stretta relazione che intercorre tra “sicurezza umana” o decentrata e sicurezza intesa in senso tradizionale e stato-centrico. Non si può parlare di sicurezza a livello “macro” se non vi sono condizioni di sicurezza minimale per gli individui (micro-livello). Anche casi difficili come l’Afghanistan, affrontati all’inizio sulla base di una concezione di “hard security” non sfuggono a questa regola. In secondo luogo, la sicurezza umana è legata ad una precisa concezione dei diritti della persona (anche volendo tener conto del dibattito sulla origine "occidentale" di tali diritti). E’ questa la ragione che rende incompatibili, in determinati contesti autoritari, la dottrina della sicurezza nazionale con le esigenze imprescindibili della sicurezza umana. In entrambi i casi, le religioni offrono un contributo costruttivo nella misura in cui sottolineano la dimensione della dignità umana come elemento centrale del loro discorso di promozione di migliori condizioni di convivenza e di migliore assetto interno delle comunità. In termini evolutivi, le religioni consentono di arricchire di contenuti il concetto di sicurezza umana espandendo il set di diritti, in modo da operare una fusione tra l’idea di sviluppo in senso economico e quella di sviluppo umano nel senso delle potenzialità individuali in un contesto di libertà e di solidarietà. Rispetto all’idea delle “comunità di sicurezza”, introdotta da Karl Deutsch con riferimento alle alleanze con contenuti politici (come la NATO), le religioni sottolineano un aspetto altrettanto fondamentale, un diverso paradigma, costituito dalla “sicurezza comunitaria”. Rispetto alla “global governance”, le religioni sono chiamate a rendere più universale il “canone” del globalismo riequilibrando i suoi contenuti prevalentemente occidentali. Le grandi religioni mondiali sono portatrici di originali interpretazioni dell’etica sociale, che devono essere incorporate nella “struttura sociale” della nuova governance, se essa intende essere realmente rappresentativa e legittima. Rispetto alle questioni globali propriamente dette (cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, migrazioni) il ruolo delle religioni non dovrebbe essere concettualizzato in termini di protagonismo sostitutivo rispetto alle funzioni della politica globale. Al contrario, le religioni dovrebbero integrare il loro ruolo di “providers” di beni pubblici (spesso a favore della sola comunità di appartenenza), come avviene talvolta in alcuni contesti socio-economici e politici interni (le associazioni assistenziali cattoliche, le donazioni nel contesto islamico) assumendo anche quello di “mobilizers” di risorse per porre rimedio a situazioni di sperequazione a livello globale. In questo contesto, la funzione di “advocacy” che i Leaders religiosi assumono in occasione di eventi o vertici internazionali (come il G8 ed il G20) appare estremamente utile e potrebbe essere meglio articolata, rifuggendo tuttavia da ogni tentazione di istituzionalizzazione. Non sono stati trascurati gli aspetti problematici del ruolo delle religioni nel contesto internazionale. Le religioni hanno talvolta preso il posto delle ideologie, non perché siano necessariamente divenute esse stesse “ideologiche”, ma perché chiamate a riempire un vuoto di pensiero “identitario”. Ad esempio, la locuzione di “civiltà giudaico-cristiana” è stata ripristinata con riferimento all’Europa ed all’Occidente in generale solo dopo la fine della Guerra Fredda, poiché gli elementi di identificazione presenti nello scenario bipolare erano di altra natura, e segnatamente di matrice politico-ideologica (mondo libero vs. collettivismo). le religioni sempre di più forniscono e forgiano identità collettive transnazionali, che tuttavia, purché restino "aperte", non necessariamente contrastano con il pluralismo delle opzioni di fede e la libertà religiosa. Tra i due estremi della Torre di Babele e di Cosmopolis deve esserci un ragionevole punto mediano nel quale identità particolari e universalismo dei valori possano incontrarsi. In generale, le religioni hanno mostrato di essere più dinamiche dell'evoluzione del sistema politico internazionale. Al riguardo, è stato osservato che mentre nel G8 non è presente alcun Paese a maggioranza islamica, del G20 fanno parte tre Paesi dell'area islamica, pur diversissimi tra loro quanto a storia, sistema politico-istituzionale e cultura politica, come Turchia, Indonesia e Arabia Saudita. La grande questione, al riguardo, è se la ricerca di una maggiore legittimità della governance informale debba o meno includere anche la diversità religiosa come criterio di definizione dei formati.
Un altro elemento di interesse riguarda il fondamentalismo ed il suo rapporto con le istituzioni. Le cosiddette “strong religions” assumono una preponderanza impropria quando operano nel quadro di “stati deboli”, quando cioè il contesto politico-istituzionale o la cultura politica sono assai fragili. In altri casi, “strong religions” (come il protestantesimo “fondamentalista” americano) possono convivere senza ripercussioni di rilievo con istituzioni forti. Pertanto una strategia per combattere le derive del radicalismo consiste nel rafforzare gradualmente la governance interna, che tuttavia in molti Paesi interessati dal fenomeno è tenuta sotto scacco da regimi politici illiberali. Istituzioni politiche forti, infatti, sono ben diverse da istituzioni politiche oppressive. Tale conclusione sembra sfatare la diffusa convinzione che le aperture democratiche in Paesi semi-autoritari dove vi è una marcata presenza di gruppi religiosi radicali siano inevitabilmente destinate ad aprire la strada a fenomeni di fondamentalismo politico-istituzionale "statalizzato" di tipo regressivo. Nel complesso, la partecipazione al seminario è stata di un livello accademico di assoluta eccellenza, essendo convenuti alcuni specialisti ed operatori che hanno offerto contributi di analisi e di esperienza articolati e profondi. Alla riunione ha preso parte, tra gli altri, Joseph Maila, già capo del "polo religioni" al Ministero degli Esteri francese ed ora direttore della pianificazione strategica. Si segnala inoltre Scott Thomas, autore di un importante articolo per "Foreign Affairs" ("A Globalized God") che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista intitolato "The World Ahead". Inoltre il seminario di Trento si inscrive ormai tra gli appuntamenti più rilevanti dedicati al tema delle religioni come fattori di politica internazionale. Significativa anche la presenza, nelle due edizioni del 2009 e del 2010, di organizzazioni operanti concretamente sul piano del dialogo interreligioso a livello internazionale, come la Comunità di Sant'Egidio, il Movimento dei Focolari, "Religions for Peace", la Fondazione "Oasis". La partecipazione di studiosi e specialisti provenienti da Medio Oriente, India, Turchia ha assicurato un'impostazione non euro-centrica della riflessione e della prospettiva analitica. Ovviamente il pluralismo delle professioni religiose dei partecipanti ( mondo cristiano-ortodosso, protestantesimo, ebraismo, buddismo, induismo, Islam) ha rappresentato, in sé, un valore aggiunto in entrambe le edizioni. Un ulteriore elemento che ha contribuito al successo dell'iniziativa è probabilmente la formula organizzativa utilizzata: vale a dire il formato "non governativo" e la discussione informale. Se è vero infatti che le religioni hanno crescente influenza nelle relazioni internazionali, è anche vero che il relativo dibattito va tenuto accuratamente lontano da prospettive "inter-governative" e politico-diplomatiche tradizionali, e lasciato prevalentemente alle espressioni della società civile (nel caso specifico del dialogo interreligioso, sono esclusivamente le stesse religioni a poterlo realizzare). Sul piano degli sviluppi futuri, va sottolineato che intorno al seminario si sta progressivamente consolidando una rete di giovani studiosi italiani che operano in Italia ed all'estero (come Fabio Petito, Sara Silvestri, Luca Ozzano, Valeria Giannotta, Cristiano Vezzoni, Paolo Frizzi). Incoraggianti, in tal senso, alcune valutazioni ricevute dai partecipanti: "una splendida esperienza, intensa e formativa; sarebbe bello riuscire a raccogliere un gruppo di studiosi che riesca a incontrarsi con una certa continuità e non solo in modo occasionale" ; "uno stimolante e professionale workshop: spero di aver modo di collaborare ancora in futuro, su questo tema”; ''excellent séminaire"; "far more productive than the meeting of the international relations theory association on that subject"; “un incontro che nelle persone, contenuti e modalita' ho trovato tra i migliori a cui ho partecipato negli ultimi anni”.