Ci sono due criteri fondamentali per valutare il recente G8 svoltosi all’Aquila: il formato e il contenuto. Per quanto riguarda il formato, si e’ fatto un notevole passo avanti nella direzione di una maggiore rappresentativita’. Oggi infatti i cosiddetti “8 grandi” non sono poi cosi’ grandi, visto che rappresentano meno della meta’ della economia mondiale, per non parlare della popolazione. E’ ormai evidente che continuare con la finzione di “invitare” giganti come la Cina, l’India, il Brasile, oltre al Sudrafica e al Messico, invece di farli sedere al tavolo delle discussione alla pari e sin dall’inizio, e’ un espendiente che non puo’ reggere oltre. Per di piu’, tra la fine del 2008 e in questo 2009 si e’ affermato un altro raggruppamento di Paesi, il cosidetto G20 (ma in realta’ i partecipanti sono quasi trenta, se si considerano anche le organizzazioni internazionali). Dal Vertice dell’Aquila emerge un messaggio ormai chiaro, e cioe’ che si dovra’ allargare il gruppo dei Paesi che partecipano a queste riunioni informali, se si vuole minimamente incidere sulla scena globale. L’Italia ha scelto una soluzione “creativa” ma necessariamente precaria, e cioe’ tenere insieme tutti i possibili formati all’interno di una kermesse di tre giorni. Ora bisogna essere chiari: ampliare il numero dei Paesi chiamati a discutere questioni globali e’ un passo necessario, ma non e’ detto che renda le cose piu’ semplici. Al contrario, con il crescere dei membri del gruppo cresce anche la diversita’ di opinioni e di impostazioni, e le decisioni diventano complesse. Ma il mondo e’ divenuto piu’ complesso, con o senza l’allargamemnton del G8, e pertanto bisogna fare i conti con una situazione mutata. L’Italia ha dato un contributo nella direzione di una maggiore ragionevolezza, anche se forse in futuro ci vorra' piu' coraggio.
E veniamo ai contenuti. Sull’economia mondiale, progressi sono stati compiuti per ottenere una maggiore trasparenza delle operazioni finanziarie, la cui spericolatezza e spregiuticatezza e’ alla base della crisi mondiale che attraversiamo. Ma dalla dichiarazione di principi sulla necessita’ di rispettare l’etica nelle transazioni economiche internazionali (il cosiddetto “Lecce framework”, dal nome della citta’ dove i ministri finanziari hanno elaborato il progetto) all’adozione di vere e proprie regole il passo non e’ breve e non sara’ per nulla facile, se si tiene conto delle resistenze che gia’ ora si manifestano tra gli speculatori piu’ smaliziati, alla ricerca di stratagemmi alternativi per continuare a lucrare impunemente a danno dei risparmiatori. La lotta ai paradisi fiscali ha bisogno di ben altri strumenti, e se si vuole davvero mettere al centro le persone, “people first” non deve restare solo uno slogan o un espediente mediatico. Un altro tema centrale dell’agenda dell’Aquila, che ha in parte deluso quanti si aspettavano decisioni politiche piu’ incisive, e’ quello dell’ambiente. Il Vertice si e’ teoricamente impegnato a “impedire” che la temperatura della terra aumenti di oltre due gradi, ma questo obiettivo importante e direi persino vitale non e’ accompagnato da misure concrete e da interventi massicci per riconvertire le nostre economie in senso piu’ eco-sostenibile. Inoltre il Vertice ha proclamato di voler conseguire l’obiettivo di una riduzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera del cinquanta percento entro il 2050. Anche in questo caso si tratta di una “intenzione” – che alcuni Paesi, come la Cina, non considerano nemmeno vincolante – e che si colloca in un orizzonte temporale francamente incomprensibile, se ci si pone dal punto di vista dei danni attesi all’ecosistema nei prossimi decenni. Basti pensare alla desertificazione, che colpisce in modo strutturale e duraturo proprio quei Paesi africani che il Vertice si e’ detto disposto ad aiutare con interventi contingenti. Da questo punto di vista, una delle dichiarazioni piu’ lungimiranti adottate all’Aquila riguarda l’impegno a collaborare con i Paesi piu’ poveri per migliorare la produttivita’ agricola, in modo da favorire l’autosufficienza alimentare e in prospettiva aprire mercati ai prodotti agricoli dei Paesi in via di sviluppo. A questo prosito, Vertice ha anche lanciato un monito contro le tentazioni protezionistiche, e cioe’ contro la tendenza a impedire la concorrenza estera per salvaguardare (o almeno questa e’ l’illusione) settori produttivi nazionali i posti di lavoro. Nel lungo periodo, se questo fosse davvero l’orientamento generale, si andrebbe di sicuro incontro al disastro (pensiamo al caso dell’Italia, che deve gran parte del suo reddito nazionale proprio alle esportazioni!). Quanto agli interventi per venire incontro ai Paesi piu’svantaggiati, che sono anche i piu’colpiti dalla crisi, il Vertice ha dichiarato di voler destinare, sia pure su base pluriennale, 20 miliardi di dollari all’Africa. Bene, ma vorremmo sapere se si tratta di fondi addizionali o di un riconteggio di impegni gia’ presi e non mantenuti, e in ogni caso da dove verranno, per cosa e da chi saranno concretamente spesi. Questo e’un punto cruciale: l’Universita’di Toronto da anni conduce uno studio sulla “coerenza” dei Paesi del G8 rispetto agli impegni ufficialmente presi, ed il quadro che ne esce non e’ incoraggiante. L’Italia, ad esempio, ha rispettato solo il tre percento delle promesse fatte al G8 di Gleneagle nel 2005. Il nostro “debito” di impegni non rispettati verso l’Africa e’ di circa un miliardo di euro. Ben vengano le dichiarazioni – tra le varie emesse al termine del Vertice - che auspicano «un mondo senza armi nucleari». Tuttavia non bisogna dimenticare che ogni anno vengono spesi oltre 1.200 miliardi di dollari in armamenti (in gran parte proprio dai Paesi del G8): basterebbe ridurre del 4% la spesa militare mondiale per poter raddoppiare gli stanziamenti a favore dell’Africa.