Kant e il "diritto di visita"

Gilbert Achcar, politologo francese di origine libanese, nonche' professore di politica e relazioni internazionali in Francia, ha pubblicato sul "Manifesto" del 29.3.2009 un articolo che, nella tradizione della "filosofia pubblica" (come direbbe Bobbio) affronta in un'ottica kantiana il complesso tema delle migrazioni e della "risposta" dei Paesi occidentali a un fenomeno che, senza retorica, e' davvero epocale. Nel suo scritto Per la pace perpetua, Kant inserisce il "diritto di visita" di altri Paesi a favore di tutti gli stranieri, in una prospettiva cosmopolita ed universalista. Tuttavia Kant, nel proporre una sorta di versione ante litteram e mondializzata del sistema Schengen (che ha caratterizzato una delle conquiste piu' significative dei Paesi europei, legata alla libera circolazione delle persone) riflette su un fenomeno che solo gli andamenti demografici della fine del XX secolo e dell'inizio del XXI hanno rivelato in tutta la sua problematicita' e direi persino nella sua drammaticita'. E' importante notare che Kant non parla del "diritto di accoglienza" ne' di un "diritto di residenza" a cui lo straniero possa appellarsi, che comportano invece una serie di regole e prescrizioni. Nelle parole di Kant, il "diritto di accoglienza" a favore dello straniero richiederebbe "un particolare e benevolo accordo per farlo diventare per un certo periodo un abitante della stessa casa". E' da osservare inoltre che - precisa Kant - in questo caso "non e' in discussione la filantropia, ma il diritto, e allora ospitalita' significa il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo sulla terra di un altro". Ancora - continua il nostro contemporaneo Immanuel Kant - il diritto di visita spetta a tutti gli uomini "in virtu' del diritto della proprieta' comune della superficie terrestre". Il diritto di visita non puo' essere rifiutato, secondo Kant, qualora un simile rifiuto comporti la distruzione (untergang)dello straniero. Dunque, e' il dilemma etico-politico non solo rispetto ai richiedenti asilo, ma anche rispetto a quanti fuggono da condizioni di vita disperate, suscettibili di portarli alla morte. Inoltre, oggi i diversi aspetti della mobilita' su scala globale si vanno ricongiungedo nella misura in cui, ad esempio, l'opposizione all'immigrazione (talvolta anche a quella "legale") coinvolge il regime dei controlli preventivi, dei visti e di una precisa categorizzazione delle nazionalita' sulla base della loro "affidabilita'" proprio in relazione alle intenzioni di "stabilimento" in un altro Paese. La questione e' materia di riflessione filosofica sin da quando lo stesso Kant introdusse un sistema giuridico-politico a tre livelli: lo ius civitatis (nazionale), lo ius gentium (internazionale) e lo ius cosmopoliticum (transnazionale). Quello che accade oggi e' l'intrecciarsi ed il sovrapporsi di queste tre dimensioni della vita pubblica sul pianeta. Nell'acuta analisi di Seyla Benhabib (Cittadini globali) il diritto di ospitalita' "e' situato ai confini della comunita' politica: delimita lo spazio civico regolando le relazioni tra i suoi membri, gli stranieri e le comunita' circoscritte. Occupa quello spazio che sta tra i diritti umani e i diritti politici e civili, tra i diritti di umanita' che risiedono nella nostra persona e i diritti che ci spettano in quanto cittadini di Stati particolari". In particolare, le migrazioni transnazionali "concernono - scrive la Benhabib -i diritti degli individui non in quanto membri di concrete comunita' circoscritte, ma simpliciter in quanto esseri umani, che entrano in contatto con comunita' territorialmente delimitate, cercano di entrarvi o ambiscono a diventarne membri". E' un tema talmente cruciale che la Benhabib non esita ad effermare che il sistema degli Stati moderni e' intrappolato tra la sovranita' e l'ospitalita'. Un invito alla lettura di Kant, quindi; nel frattempo, ecco il testo di Achcar, che, come abbiamo visto, puo' avviare una riflessione ben piu' ampia che non spicciole polemiche d'attualita' sul tema serissimo delle migrazioni. In particolare, Achcar propone l'adozione di un vero (e non "mediatico" e virtuale) Piano Marshall per creare nei Paesi di provenienza dei piu' ingenti flussi migratori condizioni di vita degne della persona umana, tali da non costringere milioni di uomini e donne ad abbandonare la propria terra alla ricerca di un mondo migliore, che tuttavia spesso si rivela deludente se non addirittura tragico. Come sempre, vale per tutti noi la regola che prima di avviare campagne politiche (o, peggio, securitarie e persino militari) sarebbe bene leggere prima qualche buon libro.
Il centro di identificazione ed espulsione di immigranti «illegali» a Lampedusa è diventato il simbolo del trattamento riservato ai «boat people» del continente africano da parte della fortezza Europa. Questa «illegalità» degli immigranti non è ciò che viene proclamato o fatto passare attraverso formule come «stranieri in situazione irregolare». E’ un`illegalità decretata in virtù di una categorizzazione frutto di un`Europa che ha quasi abolito l`immigrazione «legale» delle persone provenienti dal continente africano. Non si tratta della violazione da parte di persone internate di una legalità rispettosa dei diritti umani. Si tratta piuttosto della conseguenza di una negazione dei diritti umani da parte della potenza sovrana. Le persone «trattenute» a Lampedusa, come negli altri centri di detenzione europei, vengono private fin dall`arrivo del «diritto di ospitalità», elemento centrale del diritto cosmopolita, quello che Emmanuel Kant definiva «il diritto dello straniero, una volta arrivato in un territorio di altri, a non essere trattato come un nemico». Il «diritto di visita», ossia il diritto alla libera circolazione, che l`Europa riconosce ai cittadini dei paesi ricchi accolti senza bisogno di visto, viene negato ai cittadini dei paesi poveri - quegli stessi paesi che aveva annesso come colonie, solo qualche decennio fa, assoggettandone le popolazioni. Certo, il diritto di visita non equivale a un diritto d`accoglienza, come spiegava Kant, cioè il visitatore non può invocare il diritto di stabilirsi nel paese visitato e di beneficiare dei vantaggi riservati agli autoctoni. Notiamo tuttavia che quanti sono contrari al diritto all`immigrazione in virtù di questa distinzione non fanno in generale nulla affinché sia effettivamente riconosciuto il diritto di visita, o «il diritto di ospitalità». Inoltre, per i cittadini di paesi africani non si tratta di un diritto d`accoglienza generico - che pure viene riconosciuto de facto ai cittadini dei paesi ricchi. Per questi ultimi, lo fa con il pretesto di una reciprocità che pure non viene accettata come condizione sufficiente nel caso dei paesi poveri, che accorderebbero volentieri un diritto d`accoglienza reciproco agli europei. Si tratta piuttosto di un diritto alla riparazione, in compensazione del saccheggio del continente africano da parte degli europei, tanto sottoforma del saccheggio diretto esercitato durante il lungo calvario coloniale che sotto forma del saccheggio indiretto per mezzo dello scambio ineguale a partire dalla decolonizzazione Un saccheggio e una soggiogazione che hanno creato il «sotto-sviluppo», come condizione durevole di cui l`Africa, come il resto del mondo già colonizzato, possono difficilmente uscire attraverso i loro soli sforzi nel quadro di un sistema mondiale di essenza gerarchica. In riparazione del lungo saccheggio e dei crimini contro l`umanità che l`Europa e le sue propaggini nelle Americhe hanno commesso nei confronti dei paesi e delle popolazioni dei continenti colonizzati, la giustizia elementare esige la combinazione di due azioni: un diritto di visita senza restrizioni per i cittadini dei continenti più poveri (oltre che il rigido rispetto del diritto d`asilo per i perseguitati) e un piano massiccio di finanziamento dello sviluppo e di trasferimento di tecnologia agli ex paesi colonizzati, accompagnato dalla formazione massiccia dei loro cittadini, sia all`interno dei paesi interessati che in Europa. Non potendo riconoscere un diritto d`accoglienza agli ex colonizzati, ossia l`obbligo di fornire loro un lavoro o un reddito minimo, l`Europa ha il dovere di fornire a questi paesi un aiuto massiccio, e non le misere briciole che concede loro oggi per farli uscire dal sottosviluppo. Ponendo come uniche condizioni a questo aiuto massiccio il rispetto dei diritti umani e la democrazia, l`Europa finirebbe per realizzare quella «missione civilizzatrice» che si era ipocritamente attribuita quando imponeva il suo barbaro giogo alle colonie. Lo sviluppo delle ex colonie è l`unico modo, giusto ed efficace, di ridurre l`emorragia umana di questi paesi - un`emorragia tanto più grave in quanto coloro che emigrano sono in maggioranza persone utili allo sviluppo locale. Un Piano Marshall perle ex colonie sarebbe nello stesso interesse dell`Europa e dell`umanità tutta. In questi tempi di grave crisi dell`economia mondiale - una crisi che molti ritengono tanto profonda, se non di più, della Grande depressione tra la prima e la seconda guerra mondiale ci sono due vie certe d`uscita: o una nuova guerra mondiale come quella che ha messo fine alla depressione degli anni Trenta, strada fortunatamente impossibile perché annienterebbe l`umanità; oppure «una guerra contro la povertà» su scala mondiale, uno sforzo della stessa ampiezza di una guerra mondiale, e non la buffonata così battezzata da Tony Blair e dai suoi pari - una «guerra» molto particolare, dal momento che dovrebbe cominciare dalla riduzione massiccia delle spese militari e dalla loro riconversione per lo sviluppo mondiale. Un`Europa che ritrovasse gli antichi livelli di crescita potrebbe poi accogliere di nuovo le masse di immigrati del terzo mondo che la sua demografia rende indispensabili al suo sviluppo.