Era egiziano ed ebreo. Giovanissimo, negli anni Quaranta, questo avvocato si era unito alla lotta comunista. Si rifiuto’ con ostinazione di emigrare in Israele o in Europa, come fece la maggior parte dei suoi correligionari. Sulla sua tomba sono state lette queste righe, che egli stesso aveva scritto: "Ogni essere umano ha numerose identita’. Io sono un essere umano. Sono egiziano quando gli Egiziani sono oppressi. Sono nero quando i neri sono oppressi. Sono ebreo quando gli ebrei sono oppressi e sono palestinese quando i palestinesi sono oppressi".
L’identità non va intesa oggi, in un mondo sempre più interconnesso, come un fatto monolitico. Una cosa infatti è l’identità, un’altra cosa sono le appartenenze. L’identità è data da diverse appartenenze, che rendono «declinabile» il concetto di identità. Ad esempio, cercando di definire me stesso, la mia identità dal punto di vista antropologico, come mi potrei definire oggi? Forse come un indoeuropeo che parla un tardo dialetto latino, l’italiano; come un seguace di una religione di origine medio-orientale, il cristianesimo; come un individuo o «animale politico» - secondo la definizione di Aristotele - che vive in un’istituzione sociale di matrice gallo-germanica, lo stato moderno; come un essere umano o «homo oeconomicus» che trae il suo sostentamento da un sistema di scambi di tipo anglo-americano, il capitalismo. Anche solo considerando in modo statico quello che ciascuno di noi è, nel presente, emerge una serie di diverse appartenenze. Le appartenenze sono quelle date, ma sono anche quelle elettive. Da questo crogiolo nasce l’identità, che tuttavia, in misura minore o maggiore, muta in continuazione, non solo per l’emergere e il prevalere, a seconda delle situazioni, dei diversi «segmenti» di appartenenza, ma anche per l’interazione con le altre identità, a loro volta composte da variegati elementi costituenti. Una bellissima pagina di Amin Maalouf illustra in modo esemplare questa verità, che crea anche il rischio di uno spaesamento o di inquietudini identitarie, assieme ad una nuova consapevolezza sociologica e politica:
«Non è tipico della nostra epoca aver fatto di tutti gli uomini, in certo qual modo, degli emigranti e degli appartenenti a minoranze? Siamo tutti costretti a vivere in un universo che non somiglia molto al nostro Paese d’origine; dobbiamo tutti imparare altre lingue, altri ‘linguaggi’, altri codici; e abbiamo tutti l’impressione che la nostra identità, come l’immaginavamo sin dall’infanzia, sia minacciata. Molti hanno abbandonato la loro terra natale e molti altri, senza averla abbandonata, non la riconoscono(…..) Quando si concepisce la propria identità come la risultante di molteplici appartenenze, alcune legate a una storia etnica e altre no, alcune legate a una tradizione religiosa e altre no, quando si vedono dentro di sé, nelle proprie origini, nel proprio percorso, diverse confluenze, diversi contributi, diversi meticciati, diversi influssi sottili e contraddittori, si crea un rapporto differente con gli altri, come con la propria “tribù”. Non si tratta più semplicemente di “noi” e di “loro” – due eserciti in ordine di battaglia che si preparano al prossimo scontro, alla prossima rivincita. Ci sono ormai, dalla “nostra” parte, delle persone con cui non ho in definitiva che pochissime cose in comune, e ci sono, dalla “loro” parte, delle persone cui posso sentirmi estremamente vicino.» [Maalouf A. (2005), L'identità, Milano, Bompiani, pp.44-45 e 37-38]