Mediterraneo: riannodare le funi


Ho trovato di grande spessore intellettuale ed anche etico il seguente testo di Predrag Matvejevic (Corriere della sera,28 febbraio 2009)sulla condizione attuale del Mediterraneo e dei rapporti tra le sue “culture”. Vi sono accenti pessimistici, ma anche l’apertura a nuovi orizzonti di impegno e di politiche alternative. Matvejevic afferma infatti che “non dobbiamo dimenticare che esistono utopie produttive o anche concrete”. Sulla famosa (e per molti versi famigerata) teoria dello “scontro di civilta’” di Samuel Huntington, morto recentemente, Matvejevic e’ particolarmente critico. Non si dovrebbe parlare di “uno scontro delle componenti culturali di una civiltà, di culture in quanto tali. Si scontrano infatti le espressioni delle culture alienate e trasformate in ideologie, quelle che operano non più come contenuti culturali, ma proprio come fatti ideologici.” Matvejevic non ha perduto la speranza in un cambio di paradigma: “Aspettiamo – scrive -una nuova cultura che ci sostenga.”

Il fascino del Mediterraneo ci ha spesso sedotti, talvolta persino accecati. Quelli che lo disprezzavano, più di una volta ci hanno umiliati e offesi. E la ragione per cui abbiamo voluto noi stessi nascondere varie cose sul Mare nostrum o evitare certi interrogativi che implica il suo destino. Una «poetizzazione», spesso discutibile, ci è servita ogni tanto da scudo o da schermo. I nostri libri, i testi, gli interventi sull`argomento vanno completati da nuove riflessioni, che forse permetterebbero d`inserirne la problematica in un altro contesto, insolito o inatteso. Per quanto riguarda il sottoscritto, l`autore di un Breviario, devo riconoscere che una simile confessione è penosa e rattristante. Dopo la caduta del Muro di Berlino è stata costruita un`Europa separata dalla «culla dell`Europa». Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono state prese comunque senza, coinvolgerlo: ciò ha generato frustrazioni e fantasmi. Si profila all`orizzonte, già da tempo, un pessimismo storico, un «crepuscolarismo» letterario. Forse l`unico «eroe» risuscitato dopo la Seconda guerra mondiale fu Sisifo, e il suo mito. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha proposto nel 2oo8 l`istituzione dell`«Unione Mediterranea». A tutta prima la proposta non è stata accolta con entusiasmo nell`Unione Europea. C`è stato altresì un cambiamento di titolo: «Processo di Barcellona - Unione per il Mediterraneo» e finalmente «Unione per il Mediterraneo». Le modifiche riflettono non solo le differenze dei punti di vista da cui derivano, ma anche una relativa resistenza al progetto. Si tratta di un programma che è nella sostanza`positivo, ma che arriva in un momento poco opportuno: tra il fallimento della Conferenza di Barcellona e la crisi in cui è precipitato il mondo intero. Chi poteva prevedere che il «capitalismo finanziario» avrebbe inferto dei colpi così gravi al capitalismo stesso? Che il «neo-liberalismo» avrebbe fiaccato determinate forme di «libertà» nei rapporti economici, sociali e politici? Che il «sistema bancario» sarebbe diventato così spietato nei confronti delle stesse banche? Che dal «marxismo già sepolto» sarebbe tornata in superficie la teoria marxiana della crisi ciclica? In una congiuntura del genere l`«Unione per il Mediterraneo» non può far conto su maggiori e più ambiziosi progetti e dovrà accontentarsi di piani modesti e meno costosi. Il che non renderà certo più felici i «partner» della sponda meridionale del Mediterraneo, che richiede soprattutto di essere aiutata. Alcune forme di «cooperazione» possono apparire credibili e reali, mentre i processi di «integrazione» sembrano privi di prospettive. Nessun tentativo di sottomettere le norme e i precetti della cultura religiosa e giuridica musulmana alle tradizioni europee verrà mai accolto positivamente. La critica di determinati regimi totalitari, ad esempio quello libico, continuerà a venir considerata un`intollerabile intromissione negli affari altrui. La politica di «vicinato» o almeno di «partenariato» dovrebbe diventare più funzionale e operativa di quanto sia stata o abbia cercato di essere. Sarebbe comunque necessario sviluppare operazioni di adeguata preparazione e stabilire modalità gerarchiche di intervento e presenza. Da tempo esistono diverse esigenze: le questioni dell`ambiente, dell`ecologia e dell`inquinamento; le intenzioni di rifornire certi spazi d`acqua odi salvarli dalla «desertificazione»; i modi per introdurre norme correlate alla pesca e alle sue delimitazioni; non si possono rinviare all`infinito gli accordi attinenti l`immigrazione nell`ambito del rapporto di collaborazione fra il Sud e il Nord del Mediterraneo. Si potrebbe introdurre, senza maggiori spese, un sistema adeguato di scambi culturali (non solo a livello universitario e di simposi di circostanza). Così come sarebbe la benvenuta una rete televisiva mediterranea comune o almeno un tipo di trasmissioni, come già esisteva in certi Paesi anche se non era comune. Tutto è stato detto su questo «mare primario», sulla sua unità e divisione, omogeneità e disparità. Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o ad armonizzarsi. Le categorie di civiltà o le matrici di evoluzione al Nord e al Sud non si lasciano ridurre ai denominatori comuni. «Elaborare una cultura intermediterranea alternativa»? Mettere in atto un progetto del genere, quasi utopico, sentito o letto varie volte, non pare un obiettivo imminente. «Condividere una visione differenziata» è più realistico, pur senza essere sempre di facile realizzazione. Tanto nei porti quanto al largo, «le vecchie funi sommerse», che la poesia si proponeva di ritrovare, e riannodare, spesso sono state rotte o strappate dall`intolleranza o dall`ignoranza. Il vasto anfiteatro, a cui rassomiglia il nostro mare, per molto tempo ha visto sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sono spesso noti e prevedibili. Occorrerebbe ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e prossimità, i significati di tagli e inglobamenti. La «patria dei miti» ha sofferto delle mitologie che essa stessa ha generato o che altri hanno nutrito. Questo spazio ricco di storia è stato vittima degli storicismi. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa si perpetua: l`immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non s`identificano affatto. Un`identità dell`essere, forte e profonda nelle città del nostro mare, eclissa o respinge un`identità del fare, scarsa e irregolare. L`11 settembre 2001, insieme alle fiamme e alla polvere delle Torri gemelle di New York, è emersa una crisi di sfiducia di dimensioni planetarie, con il conseguente peggioramento dei rapporti tra l`Occidente e il mondo arabo e islamico. La situazione è precipitata e ha toccato il fondo dopo i sanguinosi attentati di Londra e di Madrid. Gli incalzanti avvenimenti dei tempi recenti hanno finito con l`appesantire il clima di tensione nel bacino mediterraneo, indebolendo i già fragili legami fra Stati, fra culture, riducendoli per lo più ad accordi episodici e formali, sempre più difficilmente fattibili. Il «Processo di Barcellona», iniziato con entusiasmo dopo gli accordi di Oslo (1993) che promettevano di risolvere presto il conflitti del vicino Oriente, è stato vittima di questa tragica congiuntura. «Alleanza delle civiltà»: fu quasi un grido l`esortazione del primo ministro spagnolo Zapatero. Di fronte ad una situazione quasi disperata, sappiamo bene che qualsiasi alleanza può oggi sembrare utopistica. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che esistono utopie produttive o anche concrete. Alcune di esse sembrano talvolta vicine alla realizzazione, seppure con un ritmo irregolare o rallentato: accrescere la sicurezza, allentare la tensione, ridurre o sbloccare le crisi, regolamentare i processi di immigrazione-emigrazione, imporre un sistema ecologico efficiente, fornire maggiore aiuto ai soggetti poveri, agli indigenti e ai malati. I progetti per l`alleanza delle civiltà rappresentano in parte una reazione viva allo scontro delle civiltà, secondo la ben nota formula usata dal professore americano Samuel Huntington, morto recentemente, nel suo libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Questa «teoria» richiede un approccio particolarmente critico. Non si tratta di uno scontro delle componenti culturali di una civiltà, di culture in quanto tali. Si scontrano infatti le espressioni delle culture alienate e trasformate in ideologie, quelle che operano non più come contenuti culturali, ma proprio come fatti ideologici. Il pericolo è noto da tempo: una parte della cultura nazionale si è trasformata, nelle varie epoche e nei diversi luoghi, in ideologia della nazione. Aspettiamo una nuova cultura che ci sostenga. Siamo impazienti: non sappiamo se la letteratura, i suoi vari modelli, generi, discorsi possano aiutarci davvero. Forse con essa sarà almeno più facile sperare. Nel frattempo io continuo a scrivere. Nel corso di diciassette anni trascorsi fra asilo ed esilio, a causa delle guerre balcaniche, una penna fragile e un tema evanescente, quello del Mediterraneo, mi hanno salvato.

Tutti ospiti


Mi sono molto piaciute le parole dello scrittore di origine napoletana Erri De Luca (che e' stato autista "umanitario" in Bosnia, operaio in Tanzania) alla trasmissione televisiva Che tempo che fa condotta da Fabio Fazio, ieri 15 febbraio. Alla domanda "Che impressione le fa la parola clandestino?", De Luca ha risposto:
Clandestino e' una parola imprecisa, perche' leggendo la Scrittura Sacra s'impara che siamo tutti ospiti, nessuno e' residente e proprietario. Tutti ospiti, inquilini di un suolo assegnato. "Mia e' la terra" dice l'Autore di quella Scrittura. Dunque, stabilire che ci sono dei clandestini e quindi, per contro, degli autorizzati, e' un abuso di confidenza con la vita.

Politica, bio-politica, mediazioni e scelte

La politica, nella tendenziale continuita’ che ormai assume dal livello territoriale (locale, nazionale, macro-regionale) a quello globale e quindi de-territoriale, assume sempre piu’ nettamente i caratteri della “bio-politica”. E’ straordinario constatare come le riflessioni di Foucault, Agamben, Esposito, trovino un riflesso pressoche’ quotidiano nella dimensione della pratica politica, dalla questione del trattamento riservato ai non-cittadini (persone spesso definite “illegali” e pertanto ritenute non destinatarie di diritti riservati al cives della res publica contemporanea) a quella del coinvolgimento dei civili nei conflitti, alle questioni rientranti nell’ampia categoria della bio-etica nei suoi rapporti con le scelte politiche e legislative. Il confronto-scontro ed il dialogo tra le culture trova, posto dinanzi a tali questioni, davvero “vitali”, una prospettiva che e’ al contempo “domestica” ed universale. Al di la’di ogni considerazione di merito, e’ evidente che la contrapposizione che spesso emerge all’interno della societa’ occidentale sui dilemmi “biopolitici” frantuma definitivamente il mito di una compattezza granitica ed in scalfibile delle “civilta’”, che se non e’ mai stata tale nemmeno nell’eta’degli imperi e delle articolazioni “sacrali” del potere, oggi appare del tutto improponibile se ricondotta a principi e valori astrattamente considerati. La negoziazione alla quale necessariamente devono essere sottoposte le visioni “comprensive” del mondo (per utilizzare la terminologia di John Rawls) non implica in nessun modo che esse debbano essere considerate relative, perche’ in quanto organiche e meta-politiche esse sono e debbono necessariamente e provvidenzialmente restare assolute e “non-negoziabili”. Cio’ che invece e’ l’oggetto reale del dibattito e’ la mediazione culturale e politica (il suo grado, la sua lontananza o prossimita’ al nucleo “fondante” di riferimento) che tali visioni subiscono al momento della loro traduzione in opzioni per i poteri governativi ed i legislatori. E’ in fondo il dramma ma anche l’esaltante avventura di ogni scelta di impegno politico: saper cioe’ coniugare la fedelta’ al riferimento ideale e conferire un significato proprio e non derivato anche al “valore” del dialogo e di una strategia orientata all’intesa nell’ottica non tanto del male minore o del minimo comun denominatore, ma della ricerca dell’equilibrio piu’ “elevato” rispetto ai valori ed ai principi che si confrontano.

La vendetta non serve


di Amos Oz
A proposito di reazioni "sproporzionate", mi sembra molto equilibrato (e "proporzionato") il seguente articolo di Amos Oz (Corriere della Sera, 2 febbraio 2009), che si muove con grande accortezza tra senso etico e prudenza politica:
Ehud Olmert ha dichiarato nelle ultime ore che Israele risponderà in modo «sproporzionato» a qualsiasi ulteriore attacco da parte di Hamas contro i civili israeliani. Io ritengo che una risposta sproporzionata sia in realtà una risposta immorale. Penso che una punizione sproporzionata sia in verità una punizione immorale. Penso inoltre che una reazione sproporzionata non serva altro che a rafforzare gli estremisti tra i partiti israeliani in vista delle prossime elezioni del io febbraio e faccia il gioco dei gruppi e dei movimenti fanatici a Gaza e nel mondo arabo. E considero che in questo caso qualsiasi operazione militare sproporzionata sia fondamentalmente una vendetta.E la vendetta in genere non serve altro che a soddisfare i propri istinti primordiali, non va oltre la componente primitiva dell`animo umano. Considero i militanti dì Hamas come un manipolo di criminali che ormai da molto tempo si sono concentrati nel colpire i civili israeliani. Non meno di diecimila tra missili c `proiettili di vario tipo sono stati sparati da Hamas contro i villaggi e le città israeliani negli anni più recenti. Penso inoltre che gli attivisti di Hamas siano un manipolo di criminali a causa del loro utilizzo dei civili palestinesi come sacchetti di sabbia umani e poiché anche durante gli ultimi eventi bellici nella striscia di Gaza si sono cinicamente fatti scudo con donne e bambini. Ma l`uccisione di un numero ancora maggiore di civili palestinesi non condurrà Israele da alcuna parte. Non servirà incrementare il numero delle vittime con nuovi raid. E ciò poiché Hamas non è affatto interessata a queste perdite, non se ne cura. Lo provano tra l`altro le recenti dichiarazioni del loro leader politico, Khaled Mashal, da Damasco: «L`attuale generazione tra la popolazione palestinese potrebbe venire sacrificata per il raggiungimento della nostra causa». Le uniche risposte militari israeliane capaci di ottenere un qualche effetto degno di nota sono una serie di attacchi misurati e proporzionati contro i criminali di Hamas e allo stesso tempo calibrati per evitare spargimenti di sangue tra la popolazione palestinese. Inoltre il governo egiziano sta tentando di mediare un cessate il fuoco. Penso che Israele debba dargli spazio per una possibilità di successo. E, infine, non dimentichiamo che il vero colpo mortale contro Hamas sarà la firma dell`accordo di pace tra Israele e le componenti moderate dall`attuale Autorità Palestinese. Questo accordo è oggi possibile e forse persino imminente. © Corriere della Sera - Traduzione di Lorenzo Cremonesi