11 tesi sull'anti-Europa


 1. L’esaltazione delle identità locali/nazionali riporta in auge il concetto di sovranità, e da questo punto di vista concepisce la politica in modo “moderno”, come esercizio esclusivo del potere su un popolo e su un territorio. Si tratta pertanto della rivincita dell’ideologia sovranista/assolutista (lo stato come “superiorem non recognoscens”) che ha i suoi riferimenti in Hobbes e Bodin. Lungi dall’essere una liberazione dai presunti “potentati sovra-nazionali”, è la teorizzazione del dominio incontrastato di élite locali e nazionali su enclaves territoriali che concepiscono le relazioni con il “resto del mondo” in termini di difesa, conflitto e confronto più che di cooperazione e condivisione. Una sorta di comunitarismo aggressivo, che nulla ha a che fare con il veto federalismo, che è invece fondato sulla pace strutturale, come evidenziato dal premio Nobel per la pace assegnato all'Unione Europea. 

2. L’Europa non è né un progetto kantiano (una lega di stati, realizzato, piuttosto, dalle Nazioni Unite), né un progetto saint-simoniano (tecnocratico, realizzato, piuttosto, dalle burocrazie nazionali gelose delle proprie prerogative); in origine, è un progetto “madisoniano”, nel senso che la “costituzione” dell’Europa non è stata concepita né in termini nazionali né in termini federali, ma come una commistione di entrambe le dimensioni. 
3. L’argomento che la democrazia può meglio funzionare a piccola scala piuttosto che a livello europeo trova una precisa confutazione in James Madison (“The Federalist Papers”, n.10). Nelle repubbliche meno numerose la possibilità che fazioni e gruppi di interesse con una precisa agenda possano condizionale l’intera popolazione è assai più elevata che nelle repubbliche più estese e popolose, dove il pluralismo ha più possibilità di articolarsi in proposte politiche alternative e dove, in definitiva, il controllo del popolo sull’élite di governo è paradossalmente più incisivo. 
4. L’enfasi sulle identità nazionali e culturali si fonda su una visione “pseudo-hegeliana” della storia europea e mondiale. Si tratta di una fenomenologia dello spirito che assegna allo stato nazionale la dimensione dell’eticità; è una concezione organicistica alla quale guardano con favore tutti i movimenti anti-europei, dimenticando che tale concezione è stata la base ideologica degli assolutismi e autoritarismi del XX secolo. Le tesi dei teorici anti-euro ricordano gli argomenti di Fichte ne "Lo Stato commerciale chiuso", in cui si sostiene che lo Stato deve essere indipendente economicamente dagli altri mediante una rigida autarchia, in modo che si sviluppino, in una sorta di pericoloso laboratorio politico-economico sigillato verso l'estero, le presunte energie spirituali e produttive della nazione. 
5. La rappresentazione dell’Unione Europea come “Leviatano” centralista e imperialista non trova riscontro nei poteri delle istituzioni di Bruxelles; l’Europa non è affetta da “eccesso di potere”, ma, al contrario, da una drammatica carenza di strumenti di governo, in quanto nelle materie strategiche (politica economica, fiscalità, politica estera, difesa, migrazioni) gli stati nazionali detengono tuttora non solo il diritto di veto, ma le competenze sostanziali. 
6. La demonizzazione dell’Euro come causa di tutti i mali dell’Europa nasconde in realtà l’incapacità delle classi politiche nazionali di elaborare risposte convincenti ai cambiamenti strutturali in corso sul piano globale, che configurano un mondo sempre più post-europeo e post-occidentale. Si tratta, a ben guardare, di una volontà di potenza statalista che si manifesta nella persistenza di una mentalità “imperialista”, nel rifiuto di affrontare in modo maturo le sfide economiche e sociali che derivano dal mutamento globale. È una rappresentazione del mondo che, in fondo, vorrebbe cristallizzare le asimmetrie globali ed è nostalgica della dipendenza (degli altri), rifiutando in pratica la realtà dell'interdipendenza mondiale.
7. La rappresentazione dell’UE come una realizzazione del liberismo imperante nel modello economico globale e del dominio della finanza transnazionale dovrebbe rendere ragione della circostanza che il principale “agente” della deregolamentazione e della finanziarizzazione dell’economia, vale a dire la Gran Bretagna della City, non è parte dell’Euro proprio perché intende avere mano libera nel creare le migliori condizioni ambientali per i capitali e gli investimenti finanziari. In realtà, pur con i suoi limiti, l’Eurozona costituisce un primo tentativo, per quanto insufficiente e sbilanciato, di governare i capitali più che accettare supinamente di essere governati da essi. Al momento dell’esplosione della crisi del debito dell’Eurozona la competenza delle istituzioni europee in materia finanziaria era nulla, essendo in realtà nella totale responsabilità degli stati nazionali, mentre oggi sono state assegnate funzioni di controllo alla Commissione (che opera una supervisione previa sui bilanci nazionali) e alla banca Centrale Europea (che opera una supervisione sulle banche). 
8. L’argomento del cosiddetto “recupero della sovranità monetaria” che si realizzerebbe con l’uscita dall’Euro è totalmente infondato. In definitiva, i regolamenti finanziari internazionali devono assumere una valuta di riferimento, che da Bretton Woods in poi è stata costituita dal dollaro, fino allo sganciamento della moneta americana dal valore dell’oro, nel 1971. Da quel momento gli Europei hanno tentato di recuperare una sovranità monetaria collettiva, che ha portato all’adozione dell’Euro. Le svalutazioni competitive, che hanno caratterizzato la politica valutaria italiana negli ultimi decenni del XX secolo, hanno rappresentato la totale sottomissione coloniale del Paese all’inflazione importata e a una politica dei tassi d’interesse dettata ben al di fuori dei confini nazionali. Inoltre, si omette deliberatamente di dire che la crisi finanziaria ha poco a che vedere con l'introduzione dell'Euro, tanto è vero che nasce negli USA e colpisce in modo grave Paesi con non fanno parte né dell'Unione Europea, né tantomeno dell'Eurozona, come l'Islanda. Non è un caso, inoltre, che le fosche previsioni di una “uscita dall’Euro” della Grecia non si sono affatto avverate, mentre l’Estonia ha adottato l’Euro dal 1^ gennaio 2011 e la Croazia ha aderito all’Unione il 1^ luglio 2013. 
9. Gli slogan contrapposti “più Italia in Europa” e “più Europa in Italia” sono egualmente fuorvianti. Da una parte, l’Italia è pienamente rappresentata in tutte le istituzioni di Bruxelles al pari di Germania, Francia e Gran Bretagna, ed è perfettamente in grado di influire sulla presa di decisioni; dall’altra, in Italia si applicano già – sia pure con ritardi e inefficienze - le direttive e i regolamenti dell’Unione alla cui adozione l’Italia contribuisce, come detto, per la sua quota-parte nel processo decisionale. Uno slogan più convincente dovrebbe essere “più Unione Europea in Europa”, per evitare il riemergere di nazionalismi e di mire egemoniche fondate sugli interessi nazionali e localistici. 
10.La rappresentazione delle politiche europee come imposizioni di una burocrazia anonima e irresponsabile è un comodo alibi per élite nazionali realmente irresponsabili e refrattarie a dar conto del loro operato. Le politiche europee più importanti devono essere approvate dal Parlamento Europeo, composto da rappresentanti eletti democraticamente e non certo da burocrati; il Consiglio è formato da Ministri facenti parti di governi nazionali formati secondo procedure democratiche e non certo da burocrati; la Commissione è formata da commissari designati dai governi nazionali e approvati secondo procedure di scrutinio democratico dal Parlamento Europeo, e non certo da burocrati. Da questo punto di vista, l’Unione Europea non soffre affatto di una “crisi di legittimità”, quanto di una più fisiologica “crisi di consenso” non verso presunte politiche economiche europee che purtroppo non esistono, quanto verso l’assenza di politiche economiche realmente comuni che invece sarebbero assolutamente necessarie, e che presuppongono non lo “smontaggio” dell’Unione, quanto una sua maggiore integrazione.  
11. L’intento della costruzione europea è strutturalmente pluralista, giacché nei trattati si afferma che l’obiettivo è costituire un’unione sempre più stretta tra i popoli europei, non, come nel caso degli Stati Uniti d’America, di dar vita “un’unione più perfetta”. Non a caso, mentre il motto degli Stati Uniti è "e pluribus unum", quello dell’Unione Europea è “in varietate concordia”.