Migranti economici e rifugiati: una distinzione sempre più difficile

Chiudere i porti, maggiori controlli alle frontiere, distinguere tra migranti economici e richiedenti asilo (rifugiati), aiutare i migranti “a casa loro”. Sulla scena europea gli annunci di nuove restrizioni e nuove iniziative sull’immigrazione si moltiplicano e si rincorrono in modo non sempre coordinato, anzi. La questione di fondo è una diversità di angolo visuale, che porta a conclusioni e ad approcci sostanzialmente divergenti. Dalla prospettiva europea, il fenomeno della mobilità umana è visto come un flusso che dall’Africa e altre regioni svantaggiate del pianeta si dirige verso l’Occidente. Si tratta di “immigrazione”. La prospettiva dei Paesi e dei popoli interessati è invece radicalmente diversa. Si tratta di “migrazioni”. La differenza non è terminologica, è politica. In Africa, ad esempio, ci sono migrazioni epocali: oltre 20 milioni di persone si muovono da un Paese all’altro del continente, e queste masse non hanno nulla a che vedere con l’“immigrazione” in Europa. In Occidente si pensa di poter fermare l’immigrazione irregolare o almeno contenerla, quando in realtà occorrerebbe adottare un’ottica più ampia, e comprendere che l’Europa è solo un tassello della grande pressione migratoria che interessa i quattro angoli del globo. In quest’ottica, la differenza tra migranti economici e richiedenti asilo diventa esile. Situazioni di violazione di diritti umani, dittature, conflitti di varia natura sono causa di miseria, assenza di sicurezza alimentare, scarso accesso alle risorse idriche, malattie endemiche ed epidemie, mancanza di prospettive per i giovani. Ecco che le cause politiche producono effetti in senso lato economici. Non si tratta di singoli o di gruppi perseguitati, ma di masse che soffrono le conseguenze di governi pessimi, dello sfruttamento economico, della violenza generalizzata, spesso incoraggiata dalla disponibilità di armi, non solo attraverso i traffici illegali, ma anche in virtù del commercio legale. Viceversa, proprio le condizioni di miseria e marginalità, aggravate dai cambiamenti climatici (desertificazione da un lato, precipitazioni estreme dall’altro), dalla carenza di istruzione, dalla bassissima possibilità di emancipazione, finiscono per alimentare le mire di autocrati senza scrupoli, la corruzione, l’esclusione e l’espulsione di larghe fasce della popolazione da ogni prospettiva di miglioramento della propria condizione. Ecco che cause economiche producono effetti politici. Si impone dunque una nuova consapevolezza, al di là degli slogan e dei provvedimenti ad effetto.