Ancora l'Iraq


Stavolta, la colpa non è degli Americani. Se l'Iraq sembra essere giunto al limite della disintegrazione ció si deve in primo luogo al settarismo politico interno. Il premier al-Maliki, dopo aver guidato il Paese durante la difficile fase del disimpegno militare degli Stati Uniti, non ha voluto tener conto del frammentato panorama politico, culturale e religioso interno. In particolare, non ha adottato, come pure sarebbe stato necessario, una politica di inclusione nelle responsabilità di governo anche dei sunniti, presenti nell'area centrale del Paese, mentre il sud rimane sotto l'egida degli sciiti e il nord sotto quella dei curdi. Su questo sfondo si è innestata l'offensiva armata del cosiddetto "Stato islamico dell'Iraq e del Levante", il cui obiettivo è sfruttare l'instabilità irachena e la guerra civile in Siria per dar vita a una sorta di "Grande Siria" (più che Califfato) islamista e turbolenta. Tuttavia la posta in gioco è ben più ampia. È in atto in Medio Oriente una ristrutturazione degli equilibri regionali pari solamente a quella seguita alla disintegrazione dell'Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale. La fonte di tale cambiamento, stavolta, si rinviene principalmente nel rimescolamento delle carte della politica interna in molti Paesi arabo-islamici, creando un intreccio difficile da districare tra questioni "domestiche" e questioni internazionali che tirano in ballo attori esterni come Stati Uniti, Russia, Turchia. L'Iraq, come la Siria, dimostra - purtroppo con effetti negativi - la potenza di fattori trans-nazionali, come l'identità araba, ma anche la religione, coinvolgendo un Paese che arabo non è, ma che è oggi il centro dell'Islam sciita: l'Iran. Un Paese che, piaccia o no, è oggi tra i più stabili dell'intera area medio-orientale. Antagonista di Washington in Siria e per gli attriti dovuti al programma nucleare, nel caso iracheno ha interessi e un'influenza che possono risultare decisivi per risolvere questa ennesima crisi in Mesopotamia. Quello che è certo è che è ormai ora che le crisi medio-orientali siano risolte dagli Stati dell'area. Gli Stati Uniti non hanno più nessuna voglia di farsi trascinare in conflitti irrisolvibili, mentre Russia e Europa non sembrano avere né la volontà politica né i mezzi per farsene carico. È maturo il tempo per un'organizzazione mediorientale per la pace e la sicurezza.