2014: puntare ai negoziati, credere nelle istituzioni

Nei primi mesi del 2014 si dovrà verificare la tenuta dell’accordo concluso a Ginevra il 24 novembre 2013 sul programma nucleare iraniano, tra la diplomazia di Teheran e il gruppo “E3/EU+3” (vale a dire Francia, Gran Bretagna, Germania, Unione Europea, Stati Uniti, Russia, Cina). L’accordo prevede un “congelamento/scongelamento”: stop alle sospette attività di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran da una parte, e momentanea sospensione di alcune sanzioni imposte dalla comunità internazionale all’Iran, dall’altra. Il rispetto o la violazione di tali reciproci impegni costituirà l’elemento critico di questa fragile intesa.
Il 2014 segnerà il ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan, dopo ben 12 anni di campagne militari non certo risolutive; la questione della sicurezza nel Paese centro-asiatico rimane aperta, e dipenderà da vari fattori, primo tra i quali un eventuale accordo con i Talebani, dopo i tentativi già falliti in Qatar.
E’ facilmente prevedibile che il conflitto siriano continuerà a caratterizzare la politica mediorientale, con i suoi effetti regionali, che coinvolgono Iraq, Iran, Giordania, Libano, Turchia, Arabia Saudita, Qatar. Dovrebbe tenersi a Ginevra una Conferenza di pace (“Ginevra 2”), con lo scopo di mettere attorno a un tavolo tutti gli attori dell’intricato ginepraio siriano per  la formazione di un governo di transizione. Sullo sfondo, la questione israelo-palestinese, perennemente irrisolta.  
Il 2014 marcherà la tragica ricorrenza dei cento anni dall’inizio della I guerra mondiale, uno spartiacque nella storia dell’umanità, una ferita che rimase aperta sino alla II guerra mondiale, ma che pose anche le premesse per la creazione di nuove istituzioni internazionali: benché spesso inefficaci, sono certamente il segno di una pace che tenta di mettere radici nelle relazioni internazionali.  Tra queste, l’Unione Europea, che affronterà l’incognita delle elezioni per il Parlamento Europeo e il rinnovo delle principali cariche istituzionali a Bruxelles, è ancora quella più articolata: sarà messa in discussione o rilanciata su nuove basi?


2014: puntare sui negoziati, credere nelle istituzioni

Nei primi mesi del 2014 si dovrà verificare la tenuta dell’accordo concluso a Ginevra il 24 novembre 2013 sul programma nucleare iraniano, tra la diplomazia di Teheran e il gruppo “E3/EU+3” (vale a dire Francia, Gran Bretagna, Germania, Unione Europea, Stati Uniti, Russia, Cina). L’accordo prevede un “congelamento/scongelamento”: stop alle sospette attività di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran da una parte, e momentanea sospensione di alcune sanzioni imposte dalla comunità internazionale all’Iran, dall’altra. Il rispetto o la violazione di tali reciproci impegni costituirà l’elemento critico di questa fragile intesa.
Il 2014 segnerà il ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan, dopo ben 12 anni di campagne militari non certo risolutive; la questione della sicurezza nel Paese centro-asiatico rimane aperta, e dipenderà da vari fattori, primo tra i quali un eventuale accordo con i Talebani, dopo i tentativi già falliti in Qatar.
E’ facilmente prevedibile che il conflitto siriano continuerà a caratterizzare la politica mediorientale, con i suoi effetti regionali, che coinvolgono Iraq, Iran, Giordania, Libano, Turchia, Arabia Saudita, Qatar. Dovrebbe tenersi a Ginevra una Conferenza di pace (“Ginevra 2”), con lo scopo di mettere attorno a un tavolo tutti gli attori dell’intricato ginepraio siriano per  la formazione di un governo di transizione. Sullo sfondo, la questione israelo-palestinese, perennemente irrisolta.  
Il 2014 marcherà la tragica ricorrenza dei cento anni dall’inizio della I guerra mondiale, uno spartiacque nella storia dell’umanità, una ferita che rimase aperta sino alla II guerra mondiale, ma che pose anche le premesse per la creazione di nuove istituzioni internazionali: benché spesso inefficaci, sono certamente il segno di una pace che tenta di mettere radici nelle relazioni internazionali.  Tra queste, l’Unione Europea, che affronterà l’incognita delle elezioni per il Parlamento Europeo e il rinnovo delle principali cariche istituzionali a Bruxelles, è ancora quella più articolata: sarà messa in discussione o rilanciata su nuove basi?


Machiavelli e il diplomatico contemporaneo



1.     Machiavelli e gli albori della diplomazia residente[1]

A distanza di 5 secoli, cosa può ancora insegnare il Segretario Fiorentino al diplomatico del terzo millennio? Certo è che oggi la diplomazia come funzione sperimenta una radicale trasformazione, pur senza perdere i suoi connotati distintivi. In particolare, nell’era dei big data il diplomatico deve anzitutto essere un analista politico, in grado di decifrare la complessità che si manifesta nelle diverse sfere delle attività umane e sociali. L’attività negoziale rimane una caratteristica saliente della diplomazia, ma si trasforma da una parte nella fattispecie del “negoziato permanente” all’interno delle istituzioni multilaterali e in particolare nel contesto integrativo dell’Unione Europea, dall’altra assume i connotati di una diplomazia di crisi, sia in relazione alle questioni che sono cruciali per la sicurezza in situazioni conflittuali o post-conflittuali, sia in quelle riguardanti le criticità del sistema economico globale.
Nell’era di Machiavelli la nuova struttura politica integrativa, lo stato-nazione, era ai suoi albori; oggi siamo dinanzi a sfide spesso radicali allo stato sovrano westphaliano in un contesto sempre più globale e transnazionale.
Cominciamo col dire che Machiavelli non fu, ovviamente, un diplomatico nel senso moderno del termine. Fu un inviato speciale di Firenze, in un’epoca in cui la diplomazia residente e non occasionale cominciava a prendere piede in concomitanza con la nascita e il consolidamento dello stato moderno. Ciò non impedì che Machiavelli intuisse le potenzialità intrinseche in una nuova organizzazione delle ambascerìe. Come si evince dai rapporti spediti nel corso delle sue numerose missioni diplomatiche, Machiavelli vedeva nella diplomazia permanente una sorta di equivalente politico-diplomatico della sua tesi sulla necessità, in campo militare, di formare un esercito regolare e non affidarsi solamente ai servizi di mercenari.[2] Egli non cessa infatti di protestare, nei suoi resoconti, sul fatto che le ambascerie di Firenze sono troppo spesso affidate a mercanti e a viaggiatori spesso impreparati e inviati improvvisati, mentre il Duca Valentino in due settimane aveva speso in corrieri e inviati speciali  – scrive tra lo sconsolato e l’ammirato Machiavelli da Imola nel 1502 [3]– tanto denaro quanto chiunque altro avrebbe speso in due anni.
Le provvisioni di questo signore, di che per più mie ho scritto, si sollecitano da ogni parte, e ha spesi, poiché io fui qui, tanti danari in cavallari e mandatari, quanti un’altra signoria non spende in due anni.
L’idea che la diplomazia potesse essere un campo sui cui investire, anche finanziariamente, non sembra che fosse una priorità della Signoria. Al contrario, i mezzi di cui potrà disporre Machiavelli saranno limitati e inadeguati. In effetti, nelle sue lettere Machiavelli non mancherà di lamentarsi insistentemente della mancanza di adeguate risorse finanziarie, prospettando più volte addirittura l’immediato rientro in patria in assenza di provvedimenti urgenti da parte dei suoi referenti istituzionali fiorentini. Scrive insieme a Francesco della Casa, suo compagno nella prima legazione in Francia, rendendo evidenti le condizioni precarie in cui si svolge la loro missione:  
Pensino le Signorie vostre che noi non siamo né di tale credito che noi potessimo, come molti ambasciadori, intractenerci di qua né mesi né settimane sanza provvedimento delle Signorie vostre; alle quali ci raccomandiamo.[4]
E da Imola, durante la seconda legazione al Valentino:
Io partirò domattina di qui et ne andò dreto alla Corte, non di buona voglia, perché io non mi sento bene; et oltre alle altre mia incommodità, io ho avuto da le Signorie vostre 55 ducati, et ne ho spesi infino ad qui 62, truovomi in borsa 7 ducati, dipoi mi converrà ubbidire alla necessità. Et però prego vostre Signorie mi provvegghino, quae bene valeant.[5]
Non sono che due esempi di una permanente situazione di fondi insufficienti a sostenere una legazione per un tempo prolungato; ma si tratta di una conseguenza di una concezione della diplomazia che stenta ad uscire dalla occasionalità e dall’essere intesa come una professione per rampolli di famiglie nobili e ricche. L’evoluzione in senso “weberiano” della diplomazia, e cioè la sua trasformazione in una professione di tipo legal-razionale, con l’allargamento della sua base sociale alla borghesia, è di là da venire. 
2.     Machiavelli diplomatico
Machiavelli divenne, nel 1498, all’età di 29 anni, secondo cancelliere della repubblica e quasi immediatamente assunse anche il ruolo di segretario dei Dieci di Balìa (o di Guerra). Fu in detta funzione che Machiavelli entrò in diretto contatto con gli “agenti” diplomatici, sia scrivendo istruzioni per gli Ambasciatori, sia svolgendo egli stesso missioni diplomatiche (Legazioni e Commissarie) talvolta di secondo livello (nel caso vi fosse in sede un “oratore” già inviato da Firenze o la sede fosse temporaneamente “vacante”), talaltra complesse e delicate, come quella presso Luigi XII o il Valentino (Cesare Borgia), la cui figura in qualche modo emblematica ispirò in buon parte le riflessioni sulla politica contenute nel Principe.
L’organizzazione alquanto flessibile dei rapporti diplomatici a Firenze faceva molto affidamento anche sul ruolo dei mandatari, inviati non tanto per negoziare questioni sostanziali, ma per osservare e riferire o sistemare questioni non ritenute di importanza strategica. Machiavelli svolse incarichi diplomatici sia di portata “europea” (in Francia, in Germania) sia di rilevanza “italiana”, nel processo di ristrutturazione della “balance of power” in Toscana e nell’intera penisola, non senza risvolti oltrefrontiera (a Pisa, Siena, Piombino, Mantova, Verona, presso il Valentino, alla Corte papale). Anche la natura delle missioni fa registrare una considerevole varietà: da quelle di tipo politico-diplomatico a quelle militari e strategiche, a quelle di tipo economico-commerciale e persino religioso (v.tabella).  
Legazioni e Commissarie di Niccolò Machiavelli
12-14 luglio 1499
Legazione a Caterina Sforza
10 giugno-11 luglio 1500
Missione al campo sotto Pisa
luglio-dicembre 1500
Prima legazione in Francia (con Francesco della Casa)
22-27 giugno 1502
Prima legazione al Valentino
23 ottobre -18 dicembre 1503
Legazione presso la Corte papale
19 gennaio – 1° marzo 1504
Seconda legazione in Francia (mentre era “oratore” Paolo Valori)
9-11 aprile 1505
Legazione a Giampaolo Baglioni
16-14 luglio 1505
Terza legazione presso Pandolfo Petrucci a Siena
30 dicembre 1505-14 marzo 1506
Commissione nel Mugello e nel Casentino
25 agosto-26 ottobre 1506
Seconda legazione presso la Corte papale
9-15 agosto 1507
Quarta legazione a Siena
21 dicembre 1507-14 giugno 1508
Missione in Germania alla Corte dell’Imperatore
16-26 agosto 1508
Commissione per il dominio fiorentino
Gennaio-giugno 1509
Commissione al campo contro Pisa
10-15 marzo 1509
Legazione al Signore di Piombino
30 marzo-6 giugno 1509
Seguito della commissione al campo contro Pisa
10 novembre-17 dicembre 1509
Commissione a Mantova e a Verona per affari con l’imperatore
20 giugno-24 settembre 1510
Terza legazione in Francia
10 settembre-4 ottobre 1511
Quarta legazione in Francia
2-9 novembre 1511
Commissione a Pisa al campo del Concilio gallicano
2 dicembre 1511-24 agosto 1512
Commissione per fare soldati
9 luglio-10 settembre 1520
Commissione a Lucca per conto dei mercanti fiorentini
11-20 maggio 1521
Legazione al capitolo dei frati minori a Carpi
19 agosto-settembre 1525
Commissione a Venezia per conto dei provveditori del Levante
Luglio-ottobre 1526
Al campo della lega di Cognac
30 novembre-4 dicembre 1526
Legazione a Francesco Guicciardini a Modena
3 febbraio-13 aprile 1527
Legazione a Francesco Guicciardini a Parma, a Bologna e in Romagna
3.     La diplomazia in Machiavelli: metodo e funzione
Machiavelli non ha lasciato alcun trattato sistematico sulla diplomazia paragonabile alle questioni teoriche e pratiche sviluppate in modo organico nel Principe e nei Discorsi sulla Prima Deca di Tito Livio.
I riferimenti a Machiavelli diplomatico, in effetti, hanno, da un lato, una natura spesso storiografica e persino biografica, dall’altro rischiano di sovrapporre questioni politiche e, più precisamente, come diremmo oggi, di politica estera (la diplomazia come metodo), con la diplomazia come funzione.
Lo nota Gramsci, criticando un lavoro di Paolo Treves[6], in cui non si “distingue bene «politica» da «diplomazia»”.
Nella politica infatti – osserva Gramsci - l’elemento volitivo ha un’importanza molto più grande che nella diplomazia. La diplomazia sanziona e tende a conservare le situazioni create dall’urto delle politiche statali; è creativa solo per metafora o per convenzione filosofica (tutta l’attività umana è creativa).[7]
E’ interessante notare come Machiavelli, pur nella sua ottica a dir poco disincantata, non arriva a sostenere, come fa Gramsci trattando dello scetticismo di Guicciardini, che “il diplomatico, per lo stesso abito professionale, è portato allo scetticismo e alla grettezza conservatrice.” Si tratta di un’attività “subalterna – come emerge dall’analisi di Gramsci della figura di Guicciardini -  cioè subordinata, esecutivo-burocratica, che deve accettare una volontà estranea (quella politica del proprio governo o principe) alle convinzioni particolari del diplomatico (che può, è vero, sentire quella volontà come propria, in quanto corrisponde alle proprie convinzioni, ma può anche non sentirla: l’essere la diplomazia divenuta necessariamente una professione specializzata, ha portato a questa conseguenza, di poter staccare il diplomatico dalla politica dei governi mutevoli”.[8]
Se ci limitassimo a considerare le riflessioni di Machiavelli sulla diplomazia come metodo, dovremmo rapidamente concludere che tale corso d’azione appare come residuale, o come necessitato, laddove non sia possibile raggiungere obiettivi che contemplino anche l’uso della forza.  Da questo punto di vista, Machiavelli ha anticipato la tesi della possibilità di una diplomazia coercitiva, e cioè di un’azione politica internazionale che non escluda il ricorso alla violenza. Si tratterebbe, più precisamente, di “compellenza”[9], nel gergo della dottrina strategica. E’ la retorica, spesso purtroppo accompagnata dai fatti, di negoziati in cui, come si ama ripetere, “tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Vorrei però in questa sede concentrarmi di più sulla diplomazia come funzione, e come Machiavelli la concepisce e la descrive come ambito specifico (anche se non ancora “specializzato”) dell’azione politico-istituzionale al di là dei confini della repubblica.


4.     I diplomatici e la questione della fiducia
Dico subito che è compito impervio e forse nemmeno pienamente legittimo cercare di ricostruire una sorta di teoria pragmatica della diplomazia nei numerosi rapporti redatti e inviati da Machiavelli. Forse lo scritto che più si avvicina a una trattazione coerente sulla funzione diplomatica è la famosa Lettera del 1522 di istruzioni – o meglio, raccomandazioni - a Raffaello Girolami[10] allorché quest’ultimo si apprestava a partire come inviato preso la Corte imperiale spagnola. [11]
In questa istruzione, considerata forse come troppo politically correct rispetto alle valutazioni e prese di posizione dello stesso segretario fiorentino durante le sue missioni, emerge in modo molto marcato la questione della “reputazione”, intesa questa volta non in modo strettamente strumentale come in alcuni passaggi del Principe, ma come requisito essenziale per il successo della stessa ambasceria.
E soprattutto si debbe ingegnare un oratore di acquistarsi reputazione, la quale si acquista col dare di se esempli di uomo da bene, ed essere tenuto liberale, intero, e non avaro e doppio, e non essere tenuto uno  che creda una cosa, e dicane un’altra. Questa parte importa assai, perché io so di quelli che per essere uomini sagaci e doppj hanno in modo perduta la fede col Principe, che non hanno mai potuto dipoi negoziare seco; e seppure qualche volta è necessario nascondere con le parole una cosa, bisogna farlo in modo che non appaja, e apparendo sia parata e presta la difesa.
Si tratta di una dimensione – quella della reputazione derivante dal non venir meno alla parola data - che appare piuttosto arduo abbinare al pensiero di Machiavelli, dal momento che uno dei consigli che egli stesso dà ai reggitori è che
non può, pertanto, uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere.[12]
Eppure quello che si evidenzia in questo passaggio è esattamente la pistis, la fiducia, intesa come affidabilità, e non solo e non tanto come una virtù. L’affidabilità  - che associare al ruolo del diplomatico è quanto meno ardito, a giudicare dalla “cattiva stampa” che tale funzione ha ancora oggi agli occhi dell’opinione pubblica – è ritenuta nelle teorizzazioni e nella pratica del negoziato internazionale come una qualità dirimente degli attori,  se essi intendono sviluppare una relazione produttiva che si proietti anche nel futuro e che non venga ridotta semplicemente ad un gioco a somma zero.[13] Le perdite momentanee in un determinato negoziato o quelle che si subiscono in una “zona” negoziale rispetto ad un'altra, vengono, in questa prospettiva assorbite nella prospettiva di negoziati futuri, nei quali si confida di ottenere, invece, risultati soddisfacenti. Quest’ottica è quella che ad esempio nei negoziati che hanno luogo nell’Unione Europea dà fondamento al cosiddetto juste retour, vale a dire l’aspettativa di concessioni future da parte di partners negoziali in termini di compensazione delle perdite attuali. 
C’è dunque una ragione molto realistica e non certo etica alla radice della raccomandazione di Machiavelli ai diplomatici di osservare per quanto possibile la parola data, ed è legata alla probabilità di ottenere risultati, visto che comunque il metodo solamente diplomatico è una scelta subottimale rispetto a una combinazione di persuasione e costrizione. 
Per tale ragione Machiavelli, come egli stesso scrive, cercò di guadagnare la fiducia dello stesso Cesare Borgia durate la sua legazione a Imola[14]:
E mi sforzo per ogni verso farmi uomo di fede appresso sua eccellenza, e potergli parlare domesticamente
Appaiono dunque in conflitto, nella logica di Machiavelli, due principi cardine delle relazioni internazionali, che hanno notevoli implicazioni anche per i diplomatici di professione: da una parte, il principio pacta sunt servanda, e cioè la necessità di rispettare gli accordi conclusi nel libero esercizio della volontà politica; dall’altra il criterio di revisione rebus sic stantibus, e cioè la verifica del permanere o meno nel tempo delle basi politiche e sociali che sono alla radice dell’intesa.
5.     Il “reporting”: quanto, cosa e come riferire    
Un secondo elemento rilevante nelle istruzioni a Girolami è la rilevanza della funzione di reporting degli inviati, vale a dire l’attività di analisi e di rappresentazione delle realtà politiche osservate, che Machiavelli chiama “avvisi” e che per lungo tempo nella tradizione diplomatica si sono chiamati “telegrammi” (oggi, più prosaicamente, “messaggi”).
Durante le sua prima missione presso il Valentino, Machiavelli ha il sentore che il Consiglio dei Dieci non appare soddisfatto dalla frequenza dei rapporti che egli gli invia,[15] e si difende con puntiglio:
Intendo come le signorie vostre si dolgono che miei avvisi son rari; il che mi dispiace; e tanto più quanto a me non pare potere migliorare avendo scritto a’ 7, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 23, 27, e queste sono dei 29 e 30
Successivamente, piccato per le critiche dei Dieci nei suoi confronti per una presunta mancanza di costanza nell’inviare i suoi rapporti, Machiavelli scrive seccamente:
Io prego le SS.VV. mi abbino per scusato, e pensino che le cose non s’indovinono; e intendino che si ha a fare qui con un principe che si governa da sé; e che chi non vuole scrivere ghiribizzi e sogni bisogna che riscontri le cose, e nel riscontrarle va tempo, e io m’ingegno di spenderlo e non lo gittare via.
In realtà i messaggi che Machiavelli invia ai suoi referenti in patria trovano notevole apprezzamento. Gli scrive Biagio Buonaccorsi il 23 agosto del 1500, durante la prima legazione in Francia:
Io non voglio mancare di significarvi quanto le vostre lettere satisfanno a omni uno; e crediatemi, Niccolò, ché sapete che l’adulare non è mia arte, che trovandomi io a leggere quelle vostre prime a certi cittadini e de’ primi, ne fusti sommamente commendato.
Da parte sua, Niccolò Valori  scrive di apprezzare “i raguagli e discorsi vostri” inviati dalla corte del Valentino,
che non potrebbano essere migliori né più aprovati. E volessi Idio che ogni uomo si governassi come voi, che si farebbe manco errori.[16]
I messaggi che gli Ambasciatori dovrebbero scrivere – e questo rimane valido ancora oggi – sono di tre tipi fondamentali: quelli descrittivi dell’attualità, della routine; quelli che riscostruiscono vicende passate, che sono a fondamento talvolta delle criticità presenti; quelli che si proiettano in una dimensione temporale futura, e che con un termine anglosassone potremmo definire come la vision, la visione, che gli inviati o oratori siano capaci o meno di sviluppare.
Fanno ancora grande onore a un imbasciatore  gli avvisi che lui scrive a chi o manda, i quali sono di tre sorte: o di cose che si trattano, o di cose che si son concluse e fatte, o delle cose che si hanno a fare, e di queste conjetturare bene il fine che le debbono avere.
Le tre categorie menzionate da Machiavelli si possono sintetizzare in termini di accurata ricostruzione di eventi, di interpretazione degli stessi, di proiezione degli scenari che a partire da essi possono delinearsi nelle relazioni tra le unità politiche. Machiavelli adottò uno strumento usato soprattutto dalla diplomazia veneta, e cioè il rapporto di fine missione o “relazione finale degli ambasciatori, in cui si dà conto minuzioso del paese nel quale si è stati, delle sue istituzioni, dei personaggi principali a cominciare dal principe”.[17]
Si tratta di un’attività che non è predittiva nel senso delle scienze sociali, ma che è piuttosto un esercizio di prospettazione di possibilità probabilistiche; dunque, di un’attività di natura qualitativa e non semplicemente quantitativa.  Questa funzione, se vogliamo, di proiezione strategica è considerata da Machiavelli come la più importante ed anche la più impegnativa tra le varie articolazioni del reporting:
Ma saper bene le pratiche che vanno attorno, e conjetturarne il fine, questo è difficile, perché è necessario solo colle conjetture e col giudizio aiutarsi.
La “conjettura” di cui parla Machiavelli non è tuttavia un esercizio privo di rischi, se esso porta il decisore politico a compiere scelte sbagliate, fino all’opzione conflittuale. Le responsabilità del consigliere sarebbero in tal caso molto gravi. Tuttavia in questo campo arriva in soccorso di Machiavelli Francesco Guicciardini, affermando che se l’evento è
stato diverso dal giudicio, non per questo si debbe dare colpa a chi avessi consigliato la guerra, poi che le ragione erano tale che lo persuadevano a ogni savio.
Troppo dura sarebbe la condizione a cui sono sottoposti
e' consiglieri de' principi, se fussono obligati a portare in consiglio non solo discorsi e considerazione umane, ma ancora o giudicii di astrologi, o pronostici di spiriti, o profezie di frati.[18]
6.     La rete informativa
Il terzo punto che vorrei trattare riguarda il flusso di informazioni che Machiavelli immagina circolare  attorno all’inviato, e che vede coinvolti numerosi e eterogenei attori: lo stesso diplomatico, la sua madrepatria, faccendieri e cortigiani locali (che, sia detto per inciso, Machiavelli raccomanda di “coltivare” anche con metodi poco ortodossi, come la corruzione; prendiamolo però per il verso giusto, e diciamo che Machiavelli era sensibile al ruolo delle lobby e dei non-State actors…). L’intuizione fondamentale di Machiavelli è che le informazioni tendono a pervenire a chi già ne detiene, in una sorta di network informativo in cui la corrente è biunivoca e la circolazione continua. Per ottenere informazioni pregiate – sostiene Machiavelli – bisogna essere in grado di offrirne. 
In una città a volere che un suo ambasciatore sia onorato non può farsi cosa migliore, che tenerlo copioso di avvisi, perché gli uomini che sanno di poter trarne, fanno a gara a dirgli quello che gl’intendono.
Una volta ottenute le informazioni ritenute utili, il diplomatico deve soppesarle, ponderarle, al fine di identificare le cose “vere” o quanto meno “verosimili”. Riferire ai propri stakeholders in patria è ovviamente il passo successivo, ma con una particolarità. Machiavelli consiglia infatti di porre una prudente distanza tra il diplomatico e i giudizi che egli/ella esprime, non per un asettico esercizio di obiettività o di avalutatività, ma per rafforzare con riferimenti autorevoli o veritativi le proprie considerazioni. A questo fine, Machiavelli suggerisce di spersonalizzare l’opinione resa:
Queste cose adunque bene intese e meglio esaminate faranno che poi potrete esaminare e considerare il fine di una cosa, e farne giudizio scrivendola. E perché mettere il giudizio vostro nella bocca vostra sarebbe odioso, è chi usa nelle lettere questo termine, che prima di discorre le pratiche che vanno attorno, gli uomini che le maneggiano, e gli umori che le muovono, e dipoi si  dice queste parole: Considerate adunque tutto quello che vi si è scritto; gli uomini prudenti che si trovano quà, giudicano che ne abbia a seguire il tale e tale effetto.
Si tratta di un’accortezza non solo stilistica, ma anche prudenziale – come abbiamo visto a proposito della “conjettura”; oggi essa si ritrova nella formula, usata a lungo dalla diplomazia italiana, che attribuisce giudizi e valutazioni a “fonti bene informate” o ai “circoli politici” vicini alle Autorità dei Paese di accreditamento.
7.     Machiavelli e le “virtù” diplomatiche
Se volessimo sintetizzare ciò che Machiavelli ci ha lasciato in termini di utilità per la funzione diplomatica odierna, potremmo forse identificare i seguenti elementi:
·      Necessità di riconcettualizzare il ruolo del diplomatico non tanto in termini di negoziatore diretto, ma in termini di facilitatore affidabile, e dunque credibile senza necessariamente essere imparziale. In un quadro globale in continuo movimento la funzione diplomatica ha una valenza stabilizzatrice.
·      Persistente necessità della diplomazia permanente e residente, nonostante la retorica del web e della e-diplomacy, della diplomazia virtuale o dei social networks (non c’è nulla che possa sostituire la cura diuturna degli affari internazionali assicurata dai diplomatici). Per Machiavelli sono almeno cinque le ragioni di una diplomazia “continua”:
1.     avere la possibilità di cogliere immediatamente le occasioni di successo quando si presentano, anche in modo imprevisto;
2.     poter davvero acquisire conoscenza e influenza;
3.     riuscire a far sì che le intese raggiunte in termini generali siano effettivamente applicate, tradotte in pratica;
4.     mostrare considerazione per lo stato di accreditamento attraverso l’invio di rappresentanti di alto rango;
5.     configurare il ruolo del diplomatico in termini di analista politico, in grado di prospettare anche scenari strategici e in ogni caso di indicare la possibile evoluzione degli eventi e degli avvenimenti. D’altra parte, lo stesso Machiavelli riuscì, grazie agli incarichi diplomatici, ad affinare quella scienza politica, quel realismo, il cui fondamento principale consisteva nell’osservazione e nell’acquisizione di sempre maggiore esperienza delle cose umane, essenziale per prevedere l’esito di un’impresa.[19] Nel Rapporto delle cose della Magna del giugno 1508, Machiavelli dichiarava che la finalità del suo Rapporto era quella di riferire «alla mescolata» ciò che aveva sentito dire, presentandolo non come vero o ragionevole, ma solo come testimonianza,
parendomi l’ufizio d’un servitore sia porre innanzi al signor suo quanto egli intende, aciocché di quello vi sia di buono e’ possi far capitale.
       E da Imola, il 3 novembre 1502, scriverà ai Dieci[20] che

se le parole e le pratiche mostrono accordo, li ordini e preparazioni mostrono guerra.
E’ interessante constare come queste ragioni a sostegno della diplomazia attenta, assidua e direi responsive che stanno alla base dell’incipiente diplomazia stabile e bilaterale si applichino, oggi, alla diplomazia multilaterale, e specialmente alle istituzioni internazionali o integrative come l’Unione europea, configurabili esattamente nei termini di un ordine o sistema negoziale permanente.
 















[1] Intervento svolto al Convegno su “Machiavelli e la politica internazionale”, svoltosi presso l’Università di Firenze – Polo delle Scienze Sociali, il 20 novembre 2013
[2] Cf. Il Principe, cap.XIII
[3] Machiavelli ai Dieci, 20 ottobre 1502. Le citazioni che seguono, relative alla Legazioni di Machiavelli,  sono tratte dall’edizione delle Opere di Machiavelli, a cura di Corrado Vivanti, Einaudi, Torino 1999, vol.II
[4] Francesco della Casa e Niccolò Machiavelli alla Signoria, 29 agosto 1500
[5] Machiavelli ai Dieci, 10 dicembre 1502
[6] Cf. Paolo Treves, Il realismo politico di Francesco Guicciardini, in «Nuova Rivista Storica»,  novembre-dicembre 1930
[7] Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, III, Einaudi, Torino 1975, quaderno 6
[8] Ibidem
[9] Cf.Thomas C. Schelling Arms and influence, Yale University Press, New Haven 1966
[10] “Il 14 ottobre 1522 Girolami fu scelto come membro di un'ambasceria di cui facevano parte anche Giovanni Corsi e Raffaello de' Medici, inviata in Spagna al fine di porgere a Carlo V le congratulazioni per la sua elezione alla dignità imperiale, avvenuta nel 1519. Machiavelli, benché già da anni avesse forzatamente abbandonato la politica e la città di Firenze, dal suo esilio di Sant'Andrea in Percussina non cessava di seguire gli avvenimenti politici. L'istruzione al G. era a carattere meramente privato, quasi soltanto una summa di consigli a un amico e, più che sui contenuti politici della missione, verteva sui principi deontologici del ruolo di ambasciatore e sull'importanza e la dignità dell'attività diplomatica. I tre oratori fiorentini si recarono per via di terra a Genova, dove si imbarcarono per Barcellona in compagnia di don Giovanni Manuel, cancelliere dell'imperatore. Benché si trattasse di un'ambasceria a carattere prevalentemente onorifico, la permanenza in Spagna di Girolami si protrasse a lungo e anche il viaggio di ritorno, effettuato esclusivamente per via di terra e con varie deviazioni, fu molto lungo, tanto che l'arrivo a Firenze avvenne solo ai primi del 1525.” (Vanna Arrighi, “Raffaello Girolami”, in Dizionario biografico degli Italiani, Treccani, Vol.56, 2001)
[11] Cf. G.R. Berridge, “Machiavelli”, in G.R.Berridge, Maurice Keens-Soper and T.G.Otte, Diplomatic Theory from Machiavelli to Kissinger, Palgrave MacMillan, New York 2001, pp.7-32
[12] Il Principe, cap.XVIII
[13] Cf. ad esempio I.William Zartman, Maureen R.Berman, The practical negotiator, Yale University Press, New Haven and London, 1982, pp. 27-41
[14] Machiavelli ai Dieci, 20 ottobre 1502
[15] Machiavelli ai Dieci, 30 ottobre 1502
[16] Niccolò Valori a Niccolò Machiavelli, 23 ottobre 1502
[17] Corrado Vivanti, Introduzione a Machiavelli, Opere, cit,  p. XV
[18] Francesco Guicciardini, “Consolatoria”, in Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari 1936, p. 176

[19] Cf. Paolo Carta, Politica e diplomazia. Machiavelli e Guicciardini in Gramsci, (www.academia.edu)
[20] Machiavelli ai Dieci, 3 novembre 1502