Mentre l’Unione Europea sembra soffrire di sintomi preoccupanti di
disintegrazione, sarà la volta dell’Africa imboccare il cammino
dell’integrazione? E’ la speranza della politica di questo secondo decennio del
XXI secolo. Il ritorno del Marocco nell’Unione Africana, dopo 33 anni di
assenza dopo la sua uscita dall’organizzazione per la questione dell’ex Sahara
Occidentale, appare un buon segno, anche se molto c’è ancora da fare per
risolvere una delle più antiche “questioni congelate” del continente.
Da una parte, com’è emerso dall’ultimo vertice dell’Unione Africana di
Addis Abeba, nel febbraio 2017, le spinte verso una maggiore cooperazione
sono evidenti e forti; dall’altra, anche nel continente africano si producono
meccanismi “sovranisti” che inducono a credere che l’interesse nazionale
significhi contare solo sulle proprie forze. In realtà, in Africa come altrove,
l’interesse nazionale non corrisponde sempre con l’interesse popolare, e serve
a giustificare politiche che favoriscono élite economiche e politiche. Molti
paesi africani si affacciano alla soglia dello sviluppo, come la Nigeria, come
il Kenya, come la stessa Etiopia, ciascuno secondo un percorso diverso. Ma
appare illusorio ritenere che l’Africa possa davvero decollare senza un minimo
di infrastrutture, non solo nel senso di trasporti e interconnessioni
energetiche, ma anche di infrastrutture umane che consentano ad esempio di
accrescere gli scambi nel settore universitario e della formazione. In
Occidente parliamo spesso della minaccia del terrorismo, che trova adesso in
Africa molti centri di riorganizzazione (come nel Sahel) con gruppi vecchi e
nuovi e sigle sinistre (da Boko Haram a Daesh a Aqmi), e sicuramente abbiamo il
diritto e il dovere di proteggere le nostre società. Dimentichiamo però che il
tema critico dell’Africa è quello della “sicurezza umana”, cioè condizioni di
vita decenti, la speranza del futuro, oltre all’incolumità personale e il
rischio della vita, che è una costante in molti Paesi del continente. Al
Vertice di Addis Abeba si è parlato di un’Africa “senza complessi” nei
confronti del Nord del mondo, di un’Africa che non solo parla del suo futuro,
ma che lo pianifica con un’Agenda programmatica, “Africa 2063”: per un continente
politicamente unito, sviluppato secondo un modello sostenibile, dotato di una
sua autonoma e forte identità culturale. Insomma, la speranza di un
Rinascimento africano.