Osama e Obama
Non bisogna farsi illusioni. L’uccisione di Osama Bin Laden nel corso di un’incursione di forze USA ad Abbottabad, a nord di Islamabad, è un duro colpo ad Al Qaeda, ma non rappresenta certo la sconfitta definitiva del terrorismo transnazionale che fa capo a tale organizzazione. Nel corso del decennio successivo agli attentati dell’11 settembre 2001 Al Qaeda si è trasformata, è diventata un network di piccole cellule sparse sul globo, che fanno un uso spregiudicato di Internet. Il modello “occidentale” è quello del franchising. Si conferma, inoltre, quello che molti analisti e commentatori hanno sempre pensato, e cioè che la vasta area compresa tra i confini di Pakistan e Afghanistan (al di qua e al di la della famosa “Durand line”) è un territorio di coltura del terrorismo islamista e ove si compie la saldatura tra alcune frange dei Talebani e Al Qaeda. Come dire che le chiavi della stabilità e della transizione politica in Afghanistan stanno in Pakistan. L’uccisione di Bin Laden avrà ripercussioni profonde a livello globale. Da una parte, essa indubbiamente “scoraggia” le formazioni islamiste dedite al terrorismo (una sparuta e deleteria minoranza in tutto il vasto mondo islamico), dall’altro potrebbe fungere – ma speriamo non accada - da ulteriore elemento di polarizzazione e radicalizzazione contro l’Occidente. Dal punto di vista americano, è una vittoria di Obama. Qualcuno potrebbe cinicamente ritenere che si tratta di un enorme ed insperato aiuto alla campagna per la sua rielezione alla Casa Bianca. Ma Obama ha fatto bene, nelle ore successive all’incursione in Pakistan, ad evitare toni eccessivamente trionfalistici e a ribadire che l’America non è contro l’Islam, bensì contro le centrali del terrorismo internazionale. Non aiutano, tuttavia, le scene di giubilo che si sono viste nelle strade americane. Si comprende il dolore immenso dei familiari delle vittime dell’11 settembre, ma non bisogna oltrepassare il fragile confine tra la giustizia e la vendetta. La morte di un uomo, per quanto efferati i crimini commessi, non può mai essere motivo di celebrazione.