Da
sempre il Mediterraneo è terra di miti.
Tuttavia i miti antichi sono ben diversi dai “miti” moderni. I racconti
mitologici tramandatici dalla cultura classica narrano di percorsi di
passaggio, di sfide e di risposte vittoriose; ma anche le sconfitte acquistano
un senso. La mitologia politico-mediatica del nostro tempo, invece, si nutre di
luoghi comuni e scorciatoie. Come il “mito” della inevitabile involuzione della
“primavera araba” in “inverno islamista”.
Che succede davvero in Egitto, in Tunisia, in Libia? Semplice: questi
Paesi stanno faticosamente e anche contraddittoriamente apprendendo a divenire
delle democrazie. In Egitto e in Tunisia
i movimenti islamici sono giunti al potere attraverso elezioni, e non sono,
pertanto degli usurpatori del potere. Passata la ventata di novità e la
popolarità del momento, i governanti dei Paesi arabi “liberati” da regimi
autoritari stanno sperimentando la stessa tentazione per le scorciatoie
autoritarie. Ma queste nuove classi politiche dirigenti, al contrario dei
predecessori, devono far fronte a una nuova cultura politica, basata sulla
partecipazione popolare, sulla protesta, sulla “piazza”. Il paradosso è che in
Egitto, ad esempio, gli islamisti hanno sostanzialmente abbracciato una
politica economica neo-liberale (privatizzazioni, deregolazione, mercato).
Dalla “piazza Tahrir” Morsi, pur contestatissimo, non è certo visto come un
nuovo Khomeini. Quanto ai movimenti salafiti radicali, essi non guardano
all’Iran, ma al “modello” saudita di un islamismo “esteriore”. Per evitare il
più possibile interferenze esterne, Morsi ha dedicato buona parte del suo mandato,
sinora, alla politica estera, “mediando” in occasione delle nuova crisi di Gaza
con Hamas, mantenendo relazioni poco più che cordiali con l’Iran (nessuna
alleanza strategica è alle viste) e prendendo le distanze dalla Siria, sempre
più isolata anche nel mondo arabo-islamico. In Tunisia gli islamisti di al-Nahda devono
fronteggiare un malcontento popolare persino più accentuato che in Egitto. Il
movimento sindacale in Tunisia è forte ed articolato, e si è già creato un solco con il nuovo
Governo. Inoltre al-Nadha, a differenza dei Fratelli Musulmani in Egitto, non
può contare su una tacita alleanza con l’esercito.
In Libia il
dopo-Gheddafi si regge su un precario equilibrio. Tuttavia la transizione
libica fa eccezione rispetto al panorama islamizzante dell’area: lo scorso
luglio i Libici, nelle loro prime elezioni “post-rivoluzionarie” hanno sancito
la sconfitta politica dei movimenti islamisti radicali, pur essendo
approssimativa l’idea che abbiano vinto i “liberali”. Lo scenario politico è
tuttora frammentato e la ricostruzione di un’ identità politica nazionale non
sarà cosa semplice né immediata.
Nonostante
queste incongruenze, dobbiamo renderci conto che le rivolte hanno cambiato per
sempre il volto della regione; ma, prima di raggiungere un’Itaca democratica, i
nuovi Ulisse mediterranei hanno ancora da viaggiare, tra molte insidie.