Quando
si parla di democrazia si rischia di camminare sulle sabbie mobili delle
definizioni. È la Turchia, oggi, un
Paese democratico? Certamente si, dal punto di vista elettorale e della
divisione dei poteri. Tuttavia le cose si complicano - anche per i nostri
stessi Paesi "occidentali" - quando si esercita la democrazia
"dopo" il voto. Intendiamoci: nessuno rimpiange i governi
"forti" e "laici" di stampo kemalista che hanno preceduto
l'era di Erdogan e il successo del suo partito, "Giustizia e Sviluppo".
Se la democrazia raramente nasce dalle piazze, sono però proprio le piazze uno dei test democratici più importanti. Abbiamo tutti imparato, con la crisi
dell'Eurozona, che le banche dovrebbero essere pronte a fronteggiare eventi
inattesi e critici, e quindi a tutelare il risparmiatore: il famoso
"stress test". Ecco, i giovani ribelli di piazza Taksim rappresentano
uno "stress test" per la democrazia turca. La ragione è semplice, e va ben oltre le motivazioni contingenti
della protesta (impedire l'abbattimento di 600 alberi a Istanbul per far posto
a un centro commerciale). Si tratta in realtà di
sondare la capacità della politica turca di
andare oltre la regola della maggioranza, e cioè
chi vince governa, punto e basta. Il mondo è
diventato talmente complesso che anche se si ottengono forti maggioranze, si
deve poi comunque imparare a governare “con
il proporzionale”. Lo "stress
test" della democrazia turca è in
realtà una prova di pluralismo, che resta un punto fermo ben
oltre ogni vittoria elettorale di una parte. La posta in gioco, tuttavia, è ben più alta. L'esperimento
turco di declinazione della democrazia con i principi dell'Islam costuisce un
punto di riferimento per le "primavere arabe". Oggi vediamo che in
alcuni di questi Paesi la democrazia non si associa sempre a una libertà più ampia, nonostante i
formidabili miglioramenti rispetto ai regimi autoritari precedenti. Insomma, la
democrazia è solo l'inizio; è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per
una politica inclusiva.