Mediterraneo: vedi alla voce futuro
Il Mediterraneo, inteso come unità di analisi, necessita di una visione maggiormente “prospettica” e multidisciplinare rispetto a quella finora adottata. Una visione capace d’integrare le variabili politico-diplomatiche con quelle economiche e geo-economiche. E’ importante riuscire ad andare oltre la prospettiva “sinfonica”, sicuramente affascinante sotto molti aspetti, offertaci da modelli di analisi storiografica come la “Scuola delle Annales”, o come i grandi affreschi di un Fernand Braudel o di un Henri Pirenne. Ed è altrettanto utile riconsiderare anche i nuovi approcci, pur riconoscendone gli indubbi meriti, basati sull’idea del «pensiero meridiano», di cui scrive Franco Cassano. La vicenda del Mediterraneo ha bisogno di passare da una dimensione storico-rievocativa o culturale e letteraria ad una «coniugazione al futuro» e ad una ristrutturazione progettuale. Inoltre, essa deve superare i confinamenti regionalistici ed inserirsi strutturalmente in un quadro geopolitico globale che includa l’Europa, l’Africa e l’Asia. Il Mediterraneo di oggi, infatti, non è da identificarsi con il Mediterraneo geografico, bensì con il Mediterraneo «ampliato», che comprende almeno una «terza sponda»: quella del Golfo Persico. Il grande merito dell’iniziativa di Sarkozy (così come re-interpretata e ri-focalizzata dall’Europa) è di aver riproposto il Mediterraneo in termini di progetto politico. Non vi era infatti alcuna necessità di dotarsi di un ulteriore impianto istituzionale, considerato il numero, già sovrabbondante quanto scarsamente produttivo, di organizzazioni internazionali e consessi regionali o specializzati che operano nel Mediterraneo. A questo proposito, vorrei ricordare che il processo di Barcellona, nonostante i suoi limiti, ha avuto il merito di far sedere allo stesso tavolo Israeliani e Palestinesi. Ma, al di là di questo pur rilevante elemento politico, non è certo un caso che si sia avvertito il bisogno di un nuovo slancio al tentativo di avvicinare le sponde euro-mediterranee. Un bilancio di questo nuovo impegno è prematuro; il “blocco politico” dovuto allo stallo dei negoziati israelo-palestinesi ha infatti enormemente condizionato e oggettivamente frenato l’iniziativa. Se, come menzionato poc’anzi, non si avverte il bisogno di ulteriori istituzioni, sicuramente la creazione di due “cornici politiche” potrebbe rivelarsi utile ai fini del processo. Tali cornici dovrebbero riguardare nello specifico: a) una banca euro-mediterranea, che si proponga come strumento finanziario capace di fare da volano ad investimenti nelle energie alternative, in progetti ambientali ed in iniziative di stampo economico, tecnologico, culturale, artistico, che si ispirino alla «Alleanza delle Civiltà» (anche se alcuni autorevoli commentatori hanno giustamente osservato che basterebbe anche solo una sana «Alleanza della civiltà», intesa come modalità di relazione civile e costruttiva tra le diversità; b) un’iniziativa nell’ambito della sicurezza che si sviluppi secondo il modello adottato dalla conferenza «Wehrkunde» di Monaco, ma basata sul concetto di soft security, prestando particolare attenzione a nuove sfide quali la criminalità transnazionale, lo sfruttamento dell’immigrazione illegale, il traffico di stupefacenti, il traffico di esseri umani, la prevenzione delle catastrofi, ecc. Un approccio olistico ed «orizzontale» al tema della sicurezza, dunque; sempre più necessario ed urgente anche alla luce dei cambiamenti climatici, che nel Mediterraneo rischiano di assumere, tra le altre conseguenze, le caratteristiche di nuove minacce alla sicurezza regionale (e globale) in senso lato e non tanto e non solo militare, ad esempio a causa dei processi di desertificazione, dei movimenti massicci di popolazione e conseguenti pressioni sulle frontiere, delle contese per l’utilizzo delle risorse idriche. In una parola, occorre riannodare secondo nuovi raccordi quelle «funi sommerse» di cui ci parla Predrag Matvejevic.