La sveglia che non suona
Una grande sveglia vecchio stile campegggia su una pagina intera del New York Times. “E’ ora” dice la discascalia. Ma di cosa? Il segreto è nel disegno sul quadrante della sveglia, dove appare la sagoma di Israele. E’ ora di passare dal processo di pace alla pace vera, è ora di passare dalle parole ai fatti, di realizzare davvero la soluzione dei “due popoli, due Stati” in Terrasanta. La pagina del New York Times è stata acquistata dalla nuova organizzazione “J Street” che si definisce pro-israeliana, ma anche pro-pace. La sveglia sul New York Times è apparsa proprio nei giorni della difficile visita del premier israeliano Netanyahu a Washington. Perchè difficile? Íl fatto è che, nell’annosa questione israelo-palestinese, si è aperto un nuovo fronte, per molti aspetti inedito: quello israelo-americano. Covava da tempo l’insoddisfazione dell’Amministrazione Obama per l’assenza di reali progressi verso un riavvio dei negoziati su basi solide. Ma l’annuncio, avvenuto proprio durante un’importante viaggio del Vice Presidente americano Biden in Israele, della costruzione di ulteriori 1600 alloggi a Ramat Shlomo, quartiere di Gerusalemme in zona teoricamente araba-palestinese, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le questioni che entrano in gioco sono due: da una parte, la prosecuzione, in varie forme, della politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, cioè in un territorio che dovrebbe costituire un futuro (ma quanto probabile?) Stato palestinese; dall’altra, il grande tema dello «status» finale di Gerusalemme, che gran parte della società e della politica israeliana tende a considerare come «capitale indivisibile» dello stato di Israele – punto ribadito, pare, dallo stesso Netanyahu a Washington - soluzione che tuttavia appare poco compatibile con una prospettiva di pace stabile tra le due comunità che vi convivono, a meno che non si adotti la prospettiva (proco praticabile) di una «internazionalizzazione» della Città Santa. Insomma, ora Washington sembra voler dettare alcune condizioni: sospensione totale di nuove costruzioni israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme; gesti concreti per aumentare la fiducia reciproca (rilascio di prigionieri palestinesi, ritiro delle forze armate israeliane ancora presenti in Cisgiordania e rimozione dei blocchi, anche attorno a Gaza). Ma occorre fare i conti anche con le travagliate e complesse vicende politiche interne israeliane e con la stessa configurazione del governo Netanyahu. Bisogna mantenere carica la corda della sveglia di J Street; ma non suonerà tanto presto.