Quale legittimita' hanno alcuni Governi europei di dettar regole e scrivere ricette per gli altri Paesi? Chi ha assegnato ad Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy il ruolo di ispettori dei bilanci altrui? Coloro che amano denunciare i rischi di strapotere dei "burocrati non eletti" di Bruxelles (e Francoforte) dovrebbero spiegarci anche chi mai abbia "eletto" i Capi degli Esecutivi di Berlino e Parigi per "governare" l'economia italiana, greca, spagnola o irlandese. Nessuno. E proprio questo e' il problema. Essi riempiono, a loro modo, e senza alcuna investitura democratica, un vuoto politico. E lo fanno non certo per europeismo, ma per evitare di essere trascinati in una crisi monetaria continentale.
E' una lacuna poltica che nasce, in sostanza, con la stessa adozione dell'Euro.
Volendo semplificare al massimo, potremmo dire che abbiamo uno strumento altamente "federale" come la moneta unica, ma non un'istanza di politica economica di tipo federale, al di la' della funzione tecnocratica della BCE. L'Unione economica e monetaria cui aspira in teoria l'Europa e' in realta' una limitata unione commerciale e regolamentare (il 'Mercato Unico') e un insieme di criteri quantitativi e statistici per l'adozione e la gestione di una valuta condivisa. Negli anni '70 e '80 dello scorso secolo l'utopia della "repubblica europea", coltivata da circoli di "illuminati", aveva fatto sorgere la speranza di un'Europa politicamente unita. Quella utopia era poi naufragata negli anni '90 e nel primo decennio del XXI secolo sotto i colpi di una crisi di consenso dell'idea europeista e per le miopi tendenze alla "rinazionalizzazione" delle politiche europee. La famosa espressione "my money back" (ridatemi i miei soldi) pronunciata da una ultrabritannica Margaret Tatcher a proposito del bilancio europeo ha conosciuto una sua versione politica generalizzata, che ha portato in buona sostanza al naufragio del progetto di costituzione europea. Quello che abbiamo oggi, infatti, nel Trattato di Lisbona, nascosto tra le pieghe del pur legittimo "principio di sussidiarieta'", e' in fondo l'equivalente, in termini di competenze, della ostinazione nazionalista tatcheriana. Basti leggere l'articolo 5 del Trattato, che afferma senza mezzi termini ne' sfumature che "qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri". L'inverso e' considerato, dai leghismi di ogni latitudine europea, un sopruso. Salvo poi scoprire, nei momenti piu' critici, che la salvezza viene proprio dall'Unione. L'ironia dei "sovranismi" e' che sono costretti a invocare l'utopia europea "a' la carte", per necessita' e non per scelta.
Gli interventi di queste settimane della Banca europea e di Trichet in particolare non possono essere semplicisticamente considerati come un "commissariamento". La parola piu' adatta e' invece "condizionalita'", cioe' azioni comuni in cambio di impegni nazionali. Un fatto nuovo per l'Europa, abituata ad adottare standard e criteri politici soprattutto nelle sue relazioni con Paesi terzi.
Ha avuto una certa fortuna, in passato, la teoria del "vincolo esterno". In sostanza, si trattava di un'interpretazione della storia nazionale piu' recente in base alla quale l'Italia si sarebbe data una certa disciplina, anche politica, oltre che economica, solo in virtu' di obblighi contratti in sede internazionale, in particolare atlantica ed europea. Il vincolo esterno era tuttavia anche intrusivo, perche' influiva pesantemente anche sul sistema politico ed economico nazionale: in tal senso hanno in effetti funzionato, ad esempio, la Nato ed i famosi parametri di Maastricht.
Sarebbe tuttavia un errore riferirsi alla stessa "dottrina" per spiegare quanto avviene oggi tra l'Italia e il sistema europeo. La notizia e' che non c'e' piu' un "esterno": in quel mondo di regole e discipline varie ci siamo dentro fino al collo tutti noi Europei. Casomai e' l'Europa intera a subire il mega-vincolo "esterno" della globalizzazione. Un vincolo che pero' non sembra ancora fatto breccia sui poteri forti e sugli apparati tecnocratici dei governi nazionali, che fingono tuttora, per convenienza ed interessi di parte (tutt'altro che democratici e popolari) di poter competere in quanto tali con giganti emersi o emergenti come Cina, India, Brasile. Questa si' e' l'orchestrina del Titanic!